Le somme corrisposte a titolo di risarcimento danni dovute per il ritardo nelle esecuzione delle opere sono costi deducibili. Sbaglia l’ufficio che riprende a tassazione tali somme nel presupposto che le stesse altro non siano se non maggiori corrispettivi pagati per l’esecuzione dell’opera commissionate che come tali devono essere portate ad incremento dei beni e sottoposte al processo di ammortamento.
È questo, in estrema sintesi, il dispositivo della sentenza n. 18903 depositata ieri con il quale la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato da una società ricorrente che si era vista negare la deduzione ai fini Ires e Irap delle somme corrisposte a titolo di penalità contrattuali.
Nell’accogliere le tesi prospettate dalla società ricorrente i giudici della Suprema corte hanno fatto espresso riferimento al fatto che le transazioni avvenute fra le parti del contratto di appalto, hanno avuto a oggetto esclusivamente il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalle clausole penali previste per il ritardo nella esecuzione delle opere, senza alcun riferimento alla esecuzione di ulteriori opere rispetto a quelle previste nel contratto originario.

La commissione regionale aveva invece accolto le tesi sostenute dall’ufficio ovvero che nel caso di specie non si era in presenza di costi d’esercizio deducibili ma bensì di corrispettivi versati per l’esecuzione dell’opera nel suo complesso. Tali somme, pagate per penali a seguito di transazioni, seppur riferite ad eventi del tutto eccezionali non rappresentavano a giudizio dell’ufficio e dei giudici dell’appello, autonomi costi d’esercizio ma costi incrementativi dei cespiti eseguiti a seguito dell’appalto. Di conseguenza, sempre secondo la commissione regionale, nel conto economico della società si sarebbero dovute far concorrere unicamente le maggiori quote d’ammortamento riferibili a tali costi incrementativi. Maggiori quote di ammortamento che peraltro la società non avrebbe comunque potuto fiscalmente dedurre poiché in bilancio non si era provveduto alla loro necessaria capitalizzazione.
Ora, dopo la decisione finale della suprema corte con la sentenza n. 18903 i giudici della regionale dovranno riformulare il loro giudizio attenendosi al principio di diritto enunciato dalla Cassazione.

Fonte: