In ultimo si vuole poi analizzare la relazione tra la figura dell’amministratore di fatto e il dlgs 231/2001 afferente al principio di responsabilità riconducibile alla persona giuridica conseguente alla commissione di un reato da parte di coloro che agiscono in nome e per conto dell’ente che rappresentano. In buona sostanza, ai sensi della lett. a), comma 1, art. 5 del decreto in esame, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dalle figure apicali (nel cui novero rientra, appunto, la figura dell’amministratore) che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. Pertanto, nel caso in cui l’amministratore di fatto commetta uno o più reati societari, essendo questi ricompresi tra i reati presupposto (art. 25-ter, dlgs 231/2001), la società verrà sanzionata a titolo proprio, quale sanzione specifica e distinta rispetto a quella comminata al prestanome, salvo l’esimente di cui all’art. 6, decreto in esame, relativa all’efficiente adozione ed attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo.

I reati tributari, invece, non sono ancora annoverati tra i reati presupposto, pertanto, ad oggi è logico desumere che il compimento da parte dell’amministratore di fatto non riverberi effetti in capo alla società, nonostante la maxi circolare n. 1/2018 della Guardia di finanza abbia, invece, tentato di sancire il contrario.
Tuttavia, tale panorama è destinato a cambiare in virtù del recepimento, entro il 6 luglio 2019, della direttiva «Pif» (direttiva 2017/1371) che ha sancito l’obbligo di estensione dei reati presupposto anche alle frodi Iva.

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