Rosy Tomasicchio
Anche l’industria del factoring, reduce da una crescita globale nel 2017 (nel mondo, +9%; in Europa +7% e in particolare in Italia, +9,5%), si è lasciata contagiare dalla «febbre» del fintech. Le soluzioni tecnologiche, che già vengono proposte alle imprese per esempio nella gestione delle fatture e dei relativi anticipi, non sono, infatti, percepite come una minaccia, anzi come un’opportunità. Di innovare, di diventare più efficienti o anche solo come l’occasione di adottare un nuovo modello. E c’è di più: stando a una indagine di Banca d’Italia (che ha in programma approfondimenti sul fenomeno, al pari degli organismi di regolamentazione e di vigilanza nazionali e internazionali, come il Financial stability board, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria e la Commissione Europea) il 37% degli intermediari ha avviato, o sta per avviare, progetti di investimento nel breve termine. Di queste 283 iniziative totali, 82 progetti di investimento rilevati sono già in produzione (28%), 122 sono approvati o in fase di sviluppo (43%) e 79 sono in fase di ricerca e sviluppo (29%).

La tendenza è emersa nel corso della tavola rotonda «Factoring e Fintech», svoltasi nei giorni scorsi durante l’assemblea annuale in occasione della giornata-evento per il 30° compleanno di Assifact. Per spiegare meglio il fenomeno, le parole di Alessandro Carretta, segretario generale di Assifact e professore di economia degli intermediari finanziari all’Università di Roma Tor Vergata, a ItaliaOggi Sette: «Per quanto riguarda il factoring, le soluzioni fintech che si stanno affacciando sul mercato si basano sostanzialmente tutte su una piattaforma digitale a supporto della cessione del credito, tramite la quale i soggetti coinvolti nell’operazione possono scambiarsi informazioni sulle fatture oggetto del rapporto di factoring. Per esempio, tramite la piattaforma, il fornitore può informare il factor dell’emissione di una fattura e richiederne in tempi rapidissimi l’anticipazione. Oppure, il debitore può riconoscere le fatture caricate sulla piattaforma agevolando il lavoro del factor. Le tecnologie applicabili a supporto dell’utilizzo di tali piattaforme sono molteplici», aggiunge Carretta, «in prospettiva, nel settore si ragiona circa le possibili applicazioni della tecnologia blockchain in questo circuito, così come già oggi ci sono esperienze di sistemi di valutazione del rischio di credito e dell’affidabilità della controparte basate su algoritmi complessi e sull’analisi dei cosiddetti big data».

Ma a che punto è la diffusione del fintech nel factoring? «Allo stato, la maggioranza delle esperienze è ancora in fase embrionale o di lancio», risponde il segretario generale dell’associazione che riunisce i principali operatori italiani, «e i volumi riferibili non risultano ancora significativi. In prospettiva, sebbene non siano ancora possibili stime credibili del fenomeno, ci si attende un effetto positivo per il settore del factoring: dall’introduzione di nuove tecnologie, grazie alla possibilità di ridurre fortemente i costi di ingaggio e gestione della clientela, aprendo spazi di mercato a oggi poco serviti dal settore, in particolare sulle piccole e medie imprese. Dal punto di vista diametralmente opposto, è possibile immaginare che l’ampliamento delle soluzioni offerte possa avere anche un effetto educativo nei confronti della clientela, contribuendo a diffondere la cultura della gestione del capitale circolante e, in generale, migliorando la cultura finanziaria delle nostre imprese».

Accantonando il «dove sta andando il factoring» e guardando invece il «cosa è stato», lo scorso anno, secondo i dati diffusi nell’assemblea, l’Italia, per volume complessivo d’affari, è quinta nel mondo e quarta in Europa, confermandosi tra i grandi. Resta, però, maglia nera nella classifica dei tempi di pagamento: 56 giorni di media contro i 34 delle imprese europee. Un distacco ancor maggiore per i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese: 104 giorni in Italia (nota dolente come sempre, il sistema sanitario e le amministrazioni centrali dello Stato), contro una media europea di 40 giorni. Il 37% dei crediti in essere nei portafogli delle società di factoring vantati verso la p.a. risulta scaduto, e di questi più di metà (55%) sono scaduti da oltre un anno. Ritardi che, ha commentato il presidente di Assifact, Fausto Galmarini, pesano su un sistema produttivo che ha ripreso la marcia anche grazie al sostegno del factoring, protagonista di una crescita che ha visto il volume d’affari complessivo praticamente raddoppiare negli ultimi undici anni, dai 115 miliardi di euro circa del 2007 ai quasi 222 del 2017. E il 2018, secondo Galmarini, dovrebbe chiudersi con un ulteriore balzo del 4,5% dopo l’incremento vicinissimo alla doppia cifra del 2017.
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