Il danno patrimoniale derivante dalla perdita definitiva della capacità di lavoro è un danno permanente; i danni permanenti possono essere liquidati sia in forma di rendita (art. 2057 c.c.), sia in forma di capitale.

Per trasformare in capitale una rendita negativa, qual è la perdita costante e definitiva di un reddito atteso, può procedersi col metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il reddito perduto per un coefficiente di costituzione delle rendite vitalizie, ovvero un numero idoneo a trasformare il valore di una rendita percepibile per n anni in un capitale di valore equivalente.

I coefficienti di costituzione delle rendite vitalizie vengono calcolati sulla base delle tavole di mortalità della popolazione residente, e variano in funzione inversa dell’età dell’avente diritto: minore è l’età di questi, maggiore è il coefficiente (e quindi il prodotto dell’operazione).

Quando il danno da perdita della capacità di lavoro sia patito da persona che aveva già, al momento del fatto illecito, un reddito da lavoro, la liquidazione del danno in esame deve avvenire:

(a) sommando e rivalutando i redditi perduti dalla vittima, a causa dell’infortunio, dal momento dell’illecito al momento della liquidazione: per tale periodo, infatti, il lucro cessante è certo e già verificatosi;

(b) capitalizzando i redditi futuri che la vittima presumibilmente perderà, dal momento della liquidazione in poi, in base a un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al momento in cui si compie l’operazione di liquidazione.

Analogo criterio non può, invece, essere adottato quando la capacità di lavoro venga perduta da un fanciullo o da un neonato.

Per comprendere questo principio occorre muovere dal rilievo che la c.d. “incapacità lavorativa” non è il danno: essa è solo la causa del danno, il quale è invece costituito dalla perdita o dalla riduzione del reddito da lavoro.

Nel caso in cui l’infortunio totalmente invalidante sia patito da un lavoratore, la causa (perdita della capacità di lavoro) e l’effetto (perdita del reddito) sono contestuali.

Quando si verifica la prima, sorge anche il secondo, e di conseguenza varranno le regole liquidatorie sopra ricordate: si dovrà procedere alla sommatoria dei redditi passati, ed alla capitalizzazione dei redditi futuri, in base a un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione.

Quando, invece, la perdita della capacità di lavoro sia patita da soggetto che non abbia ancora raggiunto l’età lavorativa, si verifica uno scarto temporale tra il momento in cui si verifica la causa di danno (la perdita della capacità di lavoro) e quello in cui si manifesterà il suo effetto (la perdita del reddito da lavoro).

Quest’ultimo infatti non sorge al momento del fatto illecito, per l’ovvia considerazione che il minore, anche se fosse rimasto sano, non avrebbe comunque prodotto redditi, e di conseguenza non avrebbe potuto perderli.

Il danno patito dal minore che perda la capacità di lavoro inizierà, invece, a prodursi nel momento in cui la vittima, raggiunta l’età nella quale, se fosse rimasto sano, avrebbe verosimilmente iniziato a lavorare, dovrà rinunciare al lavoro e al reddito da esso ricavabile.

Per tenere conto di questo divario temporale tra il momento dell’illecito ed il momento di insorgenza del danno il giudice di merito, quando liquida il danno permanete col metodo della capitalizzazione, può teoricamente ricorrere a due sistemi:

(a) capitalizzare il reddito perduto in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento del danno, e poi ridurre il risultato moltiplicandolo per il c.d. coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione;

(b) capitalizzare il reddito perduto in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento in cui avrebbe presumibilmente iniziato a lavorare.

Diversamente, infatti, la vittima si vedrebbe assegnare una somma di denaro a titolo di ristoro di redditi mai perduti, e ciò costituirebbe una violazione dell’art. 1223 c.c.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, 12 aprile 2018 n. 9048