L’Inps nello studio sugli effetti di Jobs act e riforma Fornero sulla gestione separata

Solo due terzi sono transitati nel lavoro dipendente
Pagina a cura di Daniele Cirioli
La lotta alle co.co.co. ha funzionato. Erano 1.426.365 nel 2012, sono scese a 917.888 nel 2016 (-508.477) per via delle riforme Fornero (del 2012) e Jobs act (del 2015). Lo spiega lo studio statistico dell’Inps sugli andamenti della gestione separata (si veda ItaliaOggi del 26 luglio). All’appello, però, manca un terzo dei lavoratori. Nel 2015, infatti, quando la riduzione è stata più marcata (effetto Jobs act), di 212.560 co.co.co. all’ultimo anno di contribuzione solamente due terzi (136.758 lavoratori) sono transitati nel lavoro dipendente. Che fine ha fatto il resto dei 75.802 collaboratori? Due le possibilità: è finito nel lavoro nero; oppure, come sostiene l’Inps (citando «alcuni autori»), c’è stata una sostituzione con il contratto a termine (da dubbio a dubbio: che cosa succede ora che il contratto a termine, con il decreto dignità, ha stretto le maglie?).

Le riforme. L’analisi dell’Inps prende in esame l’andamento della gestione separata in conseguenza a due principali riforme che hanno sensibilmente toccato il lavoro parasubordinato:
a) la riforma Fornero (legge n. 92/2012);
b) la riforma Jobs act (dlgs n. 81/2015).
La riforma Fornero, che è intervenuta su numerosi ambiti, in merito al lavoro a progetto, tra le varie novità, ha ridotto i margini di utilizzo con una definizione più stringente del progetto, cioè eliminando la possibilità d’individuarlo in un programma o fase di lavoro, e richiedendo l’indicazione nel contratto del risultato finale della prestazione: la mancata individuazione del progetto, determina ipso facto la trasformazione della co.co.co. in lavoro subordinato.
Molto di più ha fatto (sempre in senso limitativo) la riforma Jobs act. Ha riordinato la materia dei contratti di lavoro (tutti) in ottica restrittiva e specialmente riguardo alle collaborazioni per ricondurle al lavoro subordinato. Dal 1° gennaio 2016, ogni prestazione personale, continuativa e organizzata dal committente, anche in riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro, è trasformata in contratto subordinato a tempo indeterminato. Fanno eccezione: collaborazioni disciplinate da Ccnl; stipulate da professionisti iscritti ad Albo; riferite a componenti di organi di amministrazione o controllo; istituzionali con società sportive dilettantistiche.

Parasubordinati in picchiata. Il numero di lavoratori parasubordinati contribuenti è pari a 1.251.907 nell’anno 2016. Erano 1.721.478 nel 2012 e, dunque, negli anni dal 2013 al 2016 c’è stato un calo di 469.571 unità, ossia del 27,27%. Dai dati emerge una sensibile riduzione della tipologia dei collaboratori (-35,6% dal 2012 al 2016 passando, rispettivamente, da 1.426.365 a 917.888 per una riduzione di 508.477 unità) e un aumento di quella dei professionisti (+13,2% passando da 295.113 del 2012 a 334.019 nel 2016 con un aumento di 38.906 unità). La variazione, spiega il documento dell’Inps, è da legare, oltre alle dinamiche del mercato del lavoro, anche alle riforme: le norme, infatti, hanno imposto e comportato una rilevante «stretta» sulle collaborazioni.

Una mannaia sulle co.co.co. Quali sono state le collaborazioni più colpite? I dati registrano una riduzione particolarmente rilevante, tra il 2015 e il 2016, per collaboratori a progetto (-54%), collaboratori occasionali (-59%) e associati in partecipazione (-58%). La «tempistica» (anni 2015/2016) spinge a ritenere che le riduzioni siano l’effetto soprattutto della riforma Jobs act.

Solo la metà è andato nel dipendente. Logica domanda consequenziale alla forte riduzione delle co.co.co. è «che fine hanno fatto le collaborazioni»? Secondo i dati Inps un «gran numero» di collaboratori è transitato nel lavoro dipendente (un «gran numero»: ma quanti realmente? E gli altri, che fine hanno fatto?). Per «transizione», l’analisi Inps intende la traiettoria di un collaboratore che risulta lavoratore dipendente l’anno dopo l’ultimo anno di lavoro da parasubordinato. Tra tutti i collaboratori, la riduzione numerica dal 2010 al 2016 è stata -36,4%, mentre quella dei soli collaboratori a progetto/co.co.co. esclusivi è stata decisamente maggiore: -67%. Il sottoinsieme dei collaboratori a progetto/co.co.co. esclusivi è caratterizzato sia da un livello di turnover in uscita molto più elevato rispetto all’intera collettività (41,3% nel 2016 contro il 21,7%) sia da un’incidenza maggiore di transizioni nel lavoro dipendente privato l’anno successivo (50,3% nel 2016 contro il 39,6%). L’anno 2015 spicca per i livelli dei valori: dei 212.560 lavoratori (60,4% dei collaboratori a progetto/co.co.co. esclusivi all’ultimo anno da parasubordinato), circa due terzi (136.758 lavoratori) sono transitati al lavoro dipendente. Che fine ha fatto il resto (75.802 lavoratori)? Il sospetto è che sia finito nel lavoro nero.

Infine l’Inps prende in esame il tipo di contratto di lavoro di quanti sono transitati al lavoro dipendente, cosa evidenzia, accanto agli effetti del Jobs act, quelli della cosiddetta decontribuzione triennale. Si ricorda, infatti, che la legge di Stabilità 2015 (legge n. 190/2014) aveva introdotto, e a favore delle aziende non agricole, l’esonero contributivo per 36 mesi (cosiddetta decontribuzione triennale) sulle assunzioni a tempo indeterminato e sulle trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato avvenute nel corso del 2015. Tornando ai dati, nell’arco di tempo osservato (anni 2012-2016), la quota di soggetti che chiudono l’esperienza lavorativa da parasubordinati e l’anno successivo si trovano a essere lavoratori dipendenti a tempo indeterminato è sempre inferiore al 50%, tranne che nel 2015 quando è al 60,8%. Ad avviso dell’Inps, il dato è soprattutto effetto della cosiddetta decontribuzione triennale, anche perché l’anno immediatamente successivo, il 2016 quando la speciale decontribuzione non è più operativa, il passaggio al tempo indeterminato risulta soltanto del 31,7%. A questa interpretazione, però, fa da contraltare il valore massimo per l’intero arco temporale dal 2010 al 2016 di transizioni al contratto a termine: il 61,5%. Alcuni autori, spiega l’Inps, hanno ipotizzato una componente di sostituzione tra contratti di collaborazione e di lavoro dipendente a tempo determinato. In altre parole, chiuso il portone delle co.co.co. per evitare (almeno da subito) il lavoro a tempo indeterminato, le aziende avessero aperto la porta del lavoro a termine. Buona soluzione, se si pensa che nella maggioranza dei casi le co.co.co. rappresentavano un cuscinetto tra il primo approccio in azienda e la futura sistemazione definitiva (una sorta di lungo periodo di prova). Il problema, però, si fa adesso quanto mai attuale: quale varco dovranno inventarsi le imprese, ora che il decreto dignità ha chiuso anche la porta del contratto a termine?
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