Nel 2017 si è registrato un +22%, ma analisi ed elaborazioni restano roba da grandi

Secondo le stime dell’Osservatorio big data analitycs & business intelligence del Politecnico di Milano, il mercato Analytics si conferma in crescita anche per il 2017, registrando un aumento del 22% circa, per un totale di 1,103 mld di Euro, con percentuali diverse se parliamo di banche, di servizi, di telefonia o di retail. Ma a prescindere dai settori, la rete sembra per ora restare un gioco riservato solo ad aziende che hanno determinate dimensioni. E infatti l’Istat (dal recente Rapporto 2017 Istat Big data), analizzando un bacino di circa 184mila imprese con più di 10 addetti, riporta un dato pari al 9% tra funzioni di web ordering, proposte di offerte di lavoro via web, utilizzo link diretti a social media come facebook, twitter o instagram.
Quando si parla poi di elaborare i dati raccolti in chiave di business intelligence e di marketing, la percentuale scende. Meno del 3% delle aziende analizzano i propri dati derivanti da dispositivi intelligenti o sensori, le imprese che analizzano dati di geo localizzazione derivanti dall’utilizzo di dispositivi portatili sono il 3,25%, e quelle che analizzano dati generati dai social media scendono addirittura al 2,6%, mentre è il 3,5% ad analizzare altre fonti varie, non meglio specificate, di grandi quantità di dati.
Sulle Pmi la situazione cambia ancora. Fabio Fulvio, responsabile politiche per lo sviluppo di Confcommercio, precisa: «Una prima distinzione va fatta tra l’utilizzo che le aziende fanno delle piattaforme per gestire i propri dati (dati inerenti la privacy ad esempio) e l’utilizzo che possono fare dei big data per fare business». E aggiunge: «Le micro imprese e le piccole fino a 10 addetti sono bar, ristoranti, negozi, alberghi. Realtà che oggi non utilizzano tendenzialmente i loro dati, cosa che potrebbero fare un domani. Alcuni fornitori di telefonia stanno già lavorando in tal senso per consentire ad esempio ad un negozio di sapere quanti visitatori passano su una strada in una giornata, durante un periodo dell’anno, se sono italiani o stranieri ecc. Ma ad oggi i dati sono poco disponibili e non facilmente accessibili. Ancor meno reperibili o utilizzabili se parliamo poi della tipologia di big data direttamente a loro disposizione, per i quali andrebbe fatta un’attività di business intelligence sui propri clienti».
L’atteggiamento poi di un’impresa a fornire i propri dati affinché altri li possano utilizzare ed elaborare è comune a quella del consumatore: c’è poca percezione dei vantaggi. Ma anche delle criticità dettate dal «vendere» i propri dati alla rete, che spiega la prudenza con la quale il tema è affrontato anche dalle associazioni che rappresentano le pmi italiane.
Una fotografia confermata anche da Giuseppe Capanna, direttore generale Confesercenti: «Tra le micro e piccole imprese i big data sono ancora poco diffusi. Il primo vero appuntamento con i dati massivi sarà la fatturazione elettronica: ma per implementare con successo la novità, ci sarà bisogno di preparare adeguatamente le imprese. Soprattutto quelle meno strutturate, che non possono permettersi esperti esterni, come dimostrano le difficoltà sorte per l’introduzione dell’e-fattura per i gestori carburanti». E aggiunge «Ci sono inoltre aspetti tecnologici e di privacy complessi che non devono essere sottovalutati. Per questo noi, come associazione, ci stiamo attrezzando per fornire alle imprese gli strumenti necessari. Confesercenti è stata tra le prime, se non la prima, a dotarsi di un processo di blockchain per certificare i passaggi di dati: uno strumento che crediamo sarà molto utile ai nostri associati. E su questo tema daremo un contributo importante anche al prossimo seminario Cnel del 3 luglio».

Alcune case history nell’utilizzo dei big data. Le case history di successo hanno in genere, a conferma di quanto già detto, caratteristiche dimensionali medio-grandi. Solo per citarne alcune: Alì Supermercati, Amplifon, Bnl Gruppo Bnp Paribas, Cattolica Assicurazioni, Consorzio Cbi, Ducati Motor Holding, Fastweb, Jobrapido, Lastminute.com, Tenaris.
Amplifon, leader di mercato a livello mondiale nel campo dell’applicazione e commercializzazione di soluzioni uditive (presente in ben 23 Paesi in tutti i continenti, con oltre 5.000 negozi, oltre 3.000 centri di assistenza e più di 10.000 professionisti) ha ad esempio dato vita ad un progetto di big data analytics che, inserendosi nel processo di marketing, ha permesso di sviluppare azioni personalizzate tramite marketing automation. L’obiettivo iniziale è stato quello di comprendere il comportamento dei clienti nei confronti nel brand, partendo dal behaviour online nei vari digital touchpoint.
Raccogliere questi dati, sviluppare dei modelli di analisi e utilizzarli come input delle azioni di marketing ha richiesto un investimento nell’infrastruttura tecnologica, che ha portato ad acquisire in azienda una piattaforma avanzata di analytics in grado di raccogliere dati real-time
Un’altra fonte dati molto rilevante deriva dall’esperienza che avviene all’interno del negozio, la cosiddetta Amplifon experience: oltre a dati quantitativi (il numero di volte in cui il cliente visita il negozio) si raccolgono anche informazioni qualitative, quali feeling e percezioni del cliente durante la fase di prova dell’apparecchio acustico o sul servizio offerto dall’azienda. I dati interni vengono poi integrati e arricchiti con dati di seconde e terze parti, provenienti da una Data Management Platform (Dmp) esterna.
Il fine è quello di profilare in maniera approfondita ogni cliente o potenziale cliente, sviluppare azioni personalizzate di marketing automation e partire dai dati per il design di nuovi prodotti e servizi.
Altro caso, quello di Jobrapido nato a Milano nel 2006 come piattaforma di job recruiting, ovvero come un aggregatore di offerte di lavoro, con l’obiettivo di velocizzare e semplificare il processo di ricerca di un impiego sul web.
Oggi l’azienda è leader mondiale tra i motori di ricerca del settore, opera in 58 Paesi e conta oltre 70 milioni di utenti registrati. Il processo di ricerca del lavoro si rivela spesso lungo e noioso, nei casi peggiori motivo di sfiducia. Ci si iscrive sui vari portali, ricevendo via mail quotidianamente offerte poco adeguate, che non tengono conto delle effettive skill del candidato. Dall’altra parte, vi è un’azienda che fatica a trovare il giusto profilo per una specifica posizione ed è obbligata a investire su un processo di recruiting poco efficace.
Jobrapido ha deciso di rispondere a queste problematiche con una caratteristica che la contraddistingue fin dalla sua nascita: un’accesa propensione all’innovazione. Ormai tre anni fa, l’azienda ha investito su un progetto di profilazione del job seeker, classificando i propri utenti in base alla frequenza e l’intensità di utilizzo del portale, al fine di creare cluster omogenei, a cui comunicare nel modo più opportuno le offerte di lavoro disponibili. Questa progettualità aveva già comportato importanti cambiamenti nell’infrastruttura tecnologica.
La nuova piattaforma consente oggi di memorizzare su uno storage interno una mole di dati (strutturati e non) in forte crescita di volumi e di elaborarli mettendo insieme diverse informazioni per fornire risposte utili con elevata rapidità. Questo approccio misto è risultato essere di maggior supporto nell’identificazione dei bisogni degli utenti e nella modulazione dell’offerta. Oggi l’azienda continua a cercare modalità di innovarsi e nell’ambito dei big data sta implementando un nuovo sistema in cui algoritmi di machine learning e di natural language processing contribuiscono alla profilazione del job seeker in maniera molto più precisa, potendo dunque arricchire ancor di più le informazioni relative agli utenti. La raccolta dei dati non si limita più alle informazioni di accesso al portale, ma va a indagare nei dettagli il comportamento dell’utente su ogni pagina.
Per fare degli esempi, il sistema verifica dove gli utenti cliccano, cosa cercano, a quali annunci reagiscono e quali invece non considerano. Questa immensa mole di dati permette di generare degli indici di confidenza sul posizionamento del singolo utente, non solo in termini di settore e di job profiling ma anche a livello di competenze ed esperienza professionale, senza che l’utente debba rispondere a nessuna domanda specifica. Della serie, dimmi cosa fai e ti dirò chi sei, ma soprattutto quale lavoro potrai fare.
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