di Paolo Savona
Pubblichiamo qui di seguito un estratto del contributo di Paolo Savona, docente di Politica Economica, ministro dell’Industria nel governo Ciampi e cofondatore della Luiss, al Rapporto sulla Tutela del Risparmio Finanziario in Italia, pubblicato sotto il patrocinio della Fondazione Cesifin, Centro per lo Studio delle Istituzioni Finanziarie.

In Italia esistono seri problemi di tutela del risparmio, che si spera trovino soluzione nell’utilizzo libero, pieno e sicuro dei mezzi di pagamento e in una ragionevole certezza del rimborso delle attività finanziarie da parte degli intermediari e del mercato dei titoli di credito. Cose che oggi mancano. Ciò richiede la messa a punto di una nuova architettura normativa, che possa poggiare su una ripresa dell’attività produttiva. A seguito della cessione della sovranità monetaria, al risparmio sono venuti a mancare i pochi riferimenti interni che aveva, in primis la Banca d’Italia, ma anche il governo e il Parlamento. Queste istituzioni hanno caldeggiato e approvato le direttive europee in materia di stabilità monetaria e finanziaria senza una sufficiente valutazione delle reali conseguenze.

Le decisioni prese a livello europeo per fronteggiare la difficile situazione finanziaria e reale, ancorché allontanare i pericoli sui debiti sovrani, li hanno resi più difficili da affrontare e hanno aggravato i rischi incombenti sulle banche e le società finanziarie. In particolare, i termini di risoluzione delle crisi bancarie, applicate su situazioni pregresse come quelle della Banca dell’Etruria, hanno minato la fiducia dei risparmiatori, trasmettendo le incertezze all’intero sistema del risparmio/credito.

Questo cambiamento è stato presentato con l’intento encomiabile di voler proteggere il cittadino dal dover pagare maggiori tributi per salvare le banche che hanno mal gestito il credito e i risparmiatori che hanno mal curato i propri interessi. Il risultato tuttavia è che i cittadini direttamente o indirettamente pagano una più ampia tassa occulta, per via degli interessi quasi nulli che ottengono, decisi per tentare di fronteggiare la deflazione produttiva, e degli oneri crescenti che devono pagare per la tenuta dei depositi, fissati a livelli tali da assorbire anche parte delle perdite sui crediti che le banche non sono in condizione di coprire con altri incassi. Lo Stato, inoltre, è comunque chiamato a intervenire, ed è intervenuto ripetutamente.
Per uscire dalla situazione che si è venuta a creare, occorre scindere la simbiosi («idiosincrasia» secondo i termini usati da Hyman Minsky) tra sistema dei pagamenti e sistema del credito, affidando il servizio del primo alle nuove catene tecnologiche (tipo blockchain) sotto la diretta responsabilità dello Stato, anche se non necessariamente prestando il servizio materiale; e quello del secondo attribuendo alle banche maggiori responsabilità nella valutazione del merito di credito e a una sola autorità la vigilanza sull’uso del risparmio per finalità di finanziamento delle imprese e delle famiglie.
La situazione delle due grandi componenti di questo mercato in Italia è la seguente: la moneta oggi ammonta a circa 1.100 miliardi di euro (di cui 150 miliardi si stima sia il circolante) e le altre forme a circa 3.000 miliardi di euro. L’indebitamento complessivo (o il credito totale ricevuto) delle imprese e delle famiglie è circa 2.000 miliardi di euro, pertanto il resto si indirizza verso forme non direttamente creditizie, di pura contrattazione dei titoli in circolazione che forniscono un servizio indispensabile al risparmiatore, quello della liquidabilità del suo portafoglio. Il risparmio italiano ha anche una importante componente di patrimonio immobiliare stimabile in 6.300 miliardi di euro, di cui una larga parte è posseduta dalle famiglie.

La tesi delle autorità, che soltanto i possessori di depositi inferiori ai 100 mila euro sono protetti in quanto chi li possiede è per convenzione «sprovveduto» di informazioni, ha valore pragmatico; ma ha contenuti deboli perché:
(a) le risorse destinabili non sono adeguate;
(b) proibisce qualsiasi intervento integrativo dello Stato;
(c) alla Bce è stato negato il pieno e libero esercizio della funzione di prestatore di ultima istanza, indispensabile per garantire la stabilità del sistema bancario. L’onere degli interventi ricade obbligatoriamente sulle banche secondo un regime mutualistico e non assicurativo come negli Stati Uniti con la Federal Deposit Insurance Corporation, le cui risorse sono integrabili da interventi dello Stato nel caso di eventuale fallimento.
Le statistiche del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, risalenti al giugno 2016, indicano che i depositi tutelati sono 818 miliardi di euro, di cui 551 rimborsabili. L’impegno massimo delle banche per dotare il Fondo delle risorse necessarie a tal fine è pari allo 0,8% dei depositi complessivi, misura largamente insufficiente che, peraltro, richiede tempi lunghi per essere attuata. Con queste risorse non è possibile effettuare salvataggi di banche di grande e anche media dimensione senza metterne in crisi altre.

Se veramente si volesse proteggere i mezzi di pagamento, il principio ordinatore dovrebbe essere quello di non metterli a rischio usandoli per concedere credito. Le soluzioni possono essere due: fornire una garanzia pubblica sul totale «protetto» dei mezzi di pagamento oppure affidarne la diretta gestione a un ente di Stato, lasciando alle banche il compito di rendere il servizio tecnico, ma con entità completamente separate dal sistema del credito e tariffe d’uso che rispecchino il solo costo industriale del servizio reso.
Anche il risparmio in forma non monetaria, ossia a fini di finanziamento, è servo di due padroni: ottenere il rimborso e concedere credito per il sostegno all’attività produttiva.

Anche in questo caso occorre stabilire una netta distinzione tra istituzioni che gestiscono il risparmio, ma concedono credito solo indirettamente attraverso l’acquisto di titoli per conto della clientela, e quelle che lo raccolgono per concedere direttamente credito.
Nel secondo caso i risparmiatori devono essere coscienti che corrono rischi affidando i risparmi agli enti che concedono credito (banche e borsa), e hanno l’obbligo di valutare la capacità degli intermediari di calcolare correttamente il merito di credito, chiedendo un rendimento adeguato al rischio corso. Le carenze o reticenze di informazioni pubbliche in materia avrebbero potuto essere colmate dalle società private di rating, le quali, tuttavia, hanno mostrato gravissime debolezze.

La funzione della tutela del risparmio attraverso l’erogazione di informazioni dovrebbe ricadere maggiormente sugli organi di vigilanza, riunendo le attuali funzioni svolte dalla Banca d’Italia e dalla Consob, rafforzando e riqualificando il corpo ispettivo.

Lo scopo non è solo quello di verificare l’ottemperanza delle gestioni del risparmio alle norme, procurandosi informazioni da rendere pubbliche, ma anche individuare i comportamenti di arbitraggio che migliorano la performance del mercato da quelli speculativi che la distorcono.
In conclusione, se si intende prendere seriamente l’attuazione del dettato dell’art. 47 della Costituzione italiana, occorre una grande riforma per uscire da un sistema in cui si illude sia il possessore di mezzi di pagamento di essere garantito da meccanismi che non hanno questa capacità sia il risparmiatore di essere protetto facendogli firmare una pila di documenti illeggibili, creati al solo scopo di trasferire su di lui le responsabilità degli emittenti dei titoli o delle autorità di controllo. La grande riforma è quindi prima di tutto culturale. (riproduzione riservata)
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