di Anna Messia
C’è chi dispone di risorse in abbondanza, più di tre volte il minimo richiesto dal regolatore, e chi ne ha solo poco più del necessario. Chi rischia molto in caso di variazioni di corsi azionari o di tassi d’interesse e chi invece il pericolo maggiore lo corre nel definire le tariffe delle polizze vendute ai clienti. La prima fotografia del mercato assicurativo italiano, scattata con le nuove regole di Solvency II, mostra una situazione molto variegata. I dati appena pubblicati dalle compagnie nelle Relazioni sulla solvibilità e la condizione finanziaria, come richiesto dal regolatore, sono stati raccolti ed elaborati dalla società di consulenza Ca&Co Associati, fondata da due manager di lungo corso nel settore, Stefano Carlino e Paolo Costanzo, con l’obiettivo di supportare le assicurazioni nei cambiamenti epocali determinati dalle nuove normative, come gli Ifrs o Solvency II appunto, partita a gennaio 2016 per tutte le compagnie europee. Nuove regole che hanno obbligato le compagnie a cambiare completamente il modo di pensare e vedere il proprio business. Perché mentre Solvency I veniva calcolato in passato come una semplice percentuale delle riserve matematiche vita e dei premi danni, ora al centro del nuovo modello c’è l’effettivo rischio che le compagnie corrono. Con il vecchio sistema Solvency I bastava insomma applicare una semplice formula matematica ma quel modello aveva limiti evidenti perché teneva fuori dalla porta troppe variabili importanti. Ora tutto è cambiato e in questi mesi le imprese hanno dovuto imparare a conoscere meglio e anche a comunicare al mercato i diversi rischi che corrono nella propria attività, da quello legati agli andamenti del mercato ai rischi di controparte. Il requisito patrimoniale di solvibilità (Scr), il capitale minimo richiesto alla compagnia, che deve essere aggiornato almeno con cadenza annuale, è proprio la somma dei rischi che corrono le imprese e il Solvency II è il rapporto tra i fondi dell’impresa e l’Scr.

Nel suo complesso il sistema assicurativo italiano non sembra avere problemi di solidità visto che, secondo quanto rilevato da Ivass, il capitale delle singole compagnie, misurato con Solvency II, a fine 2016 era superiore di 2,2 volte ai minimi patrimoniali. Ma come detto in questo aggregato ci sono forti diversità come emerso dall’analisi effettuata da Ca&Co che ha preso a riferimento le prime venti compagnie italiane, rilevando i dati delle capogruppo. «Nel campione analizzato il range del Solvency II varia dal 120% al 350%», dice Carlino osservando che ad incidere può essere anche la forma societaria e pure la tipologia. Il Solvency II più alto è della torinese Reale Mutua, che arriva ad un valore del 347%, e che è appunto una mutua che distribuisce ai soci-clienti parte dei propri profitti. Mentre il valore di Solvency II più basso, ma comunque maggiore del minimo regolamentare, è di Eurovita, con il 119%, una compagnia controllata dal fondo di private equity americano Jc Flowers, che ha evidentemente interesse a massimizzare il proprio investimento.

Tra le compagnie che spiccano per indici alti ci sono poi Poste Vita (295%), Cardif Vita (273%) e Bipiemme Vita (272%). Oltre al singolo valore dell’indice la grande novità della nuova regolamentazione, come detto, è però il fatto che le imprese per la prima volta hanno alzato il velo sulla composizione dei rischi che caratterizzano il proprio business. E anche sotto questo aspetto le diversità nel settore assicurativo italiano sono marcate, anche se in generale il rischio prevalente (con un peso del 69%) è quello di mercato, legato cioè a possibili variazioni dello spread, dei corsi azionari, dei tassi d’interesse oppure dei valori immobiliari, più alto per le compagnie Vita che hanno in pancia una grande quantità di titoli di stato..

La percentuale si impenna appunto in Poste Vita, dove il rischio di mercato sale addirittura al 93,5%. Così come in Credit Agricole Vita dopo il peso del rischio di mercato è del 92,3% o in Cnp Unicredit Vita con il 90,1%. Il rischio di inadempimento della controparte, ovvero il rischio di default dei crediti vanti verso altri operatori, è invece mediamente contenuto, pari per il sistema a circa il 15%, ma a sorpresa ci sono compagnie dove la percentuale è decisamente più alta: è il caso di Generali Italia (42,3%) e di Bipiemme Vita (30%). «La percentuale si può alzare quando ci sono crediti vantati verso broker o intermediari, piuttosto che conti correnti attivi di importo elevato presso banche del gruppo», spiega Carlino. Altre assicurazioni spiccano invece per un alto rischio di sottoscrizione, ovvero l’incertezza legata alla correttezza delle tariffe delle polizze vendute ai clienti. Per Groupama Assicurazioni si tratta del primo rischio da prendere in considerazione nel suo business, con una percentuale del 96,4%e anche in Axa Assicurazioni il peso è dell’80% e del 75% in Vittoria Assicurazioni . Nel considerare tutti i rischi che caratterizzano il business delle imprese assicurative italiane bisogna poi considerare altri due fattori. Il primo è il beneficio di diversificazione va sottratto agli altri rischi, perché li riduce proprio grazie alla diversificazione. del business. Beneficio che cresce nel caso delle imprese che operano in più rami di attività o variano il proprio business. È il caso di Allianz che grazie alla diversificazione ha un beneficio pari addirittura al 58,1%, seguita da Axa assicurazioni, con il 51,6%.

L’altro elemento da considerare è poi l’alta volatilità che sembra caratterizzare l’indice di Solvency II, decisamente più rilevante di quella che si ritrova nei requisiti patrimoniali delle banche. Una questione che i regolatori stanno seguendo da vicino perché potrebbe avere il rischio di creare un sistema eccessivamente pro ciclico. Se da una parte appare utile far conoscere al mercato e agli assicurativi il valore puntuale degli asset e dei rischi dell’impresa in un preciso istante, dall’altra sembra evidente che si debba anche lavorare per creare meccanismi di «aggiustamento», migliori di quelli attuati finora, per evitare che in caso di crisi Solvency II contribuisca a peggiorare la situazione.

L’Ivass in questo primo anno di avvio ha rilevato per esempio un’alta volatilità degli indici: in dodici mesi, da gennaio 2016 a dicembre la variazione sugli spread dei titoli di Stato italiani ha provocato per esempio un decremento di Solvency II rilevante per le compagnie che operano esclusivamente nel ramo Vita e un recupero di chi lavora solo nel ramo danni e nei canali diretti, ovvero internet o telefono. (riproduzione riservata)
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