di Michele Specchiulli.

Sicuramente farà discutere gli operatori del settore una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che si è espressa su un’annosa questione legata alla possibilità di poter dedurre da parte di una società la polizza caso morte a vita intera e che potrebbe rappresentare sicuramente un precedente giurisprudenziale.

La materia del contendere riguarda un avviso di accertamento relativo agli anni 2007 e 2008 notificati dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Belluno con la quale era stato contestato l’indebita deduzione dal reddito imponibile di una Società delle polizze “caso morte a vita intera” che avevano come assicurati i soci amministratori e beneficiaria la Società stessa.

La Società aveva presentato ricorso che tuttavia  é stato rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Belluno. Infatti i Giudici di primo grado hanno accettato tutte le controdeduzioni dell’Agenzia delle Entrate di Belluno affermando che “non si tratta di un prodotto assicurativo diretto alla copertura del rischio, ma di natura finanziaria o prevalentemente finanziarie“. Di conseguenza i premi di polizza pagati non possono rientrare tra le spese o in altri componenti negativi di reddito.

La Società ha presentato appello contro la decisione della Commissione Provinciale di Belluno insistendo sulla qualificazione di tipo assicurativo delle polizze “caso morte” dalla stessa stipulate e sulla corretta imputazione contabile e fiscale dei premi corrisposti, perché la qualificazione del contratto stipulato aveva come causa prevalente quella tipica dei contratti di assicurazione sulla vita.

I giudici di secondo grado hanno accolto il ricorso presentato. Risulta interessante analizzare le motivazione  della Commissione di secondo grado. Nello specifico si trattava della polizza “valore protetto Plan” delle Assicurazioni Generali e  i giudici hanno sostenuto che tale polizza  é senza dubbio un contratto di assicurazione sulla vita perché sposta dal contraente all’assicuratore il rischio di morte dell’assicurato.

Hanno Infatti  evidenziato un importante elemento: l’alea del contratto. Infatti questo é costituito proprio dall’assunzione del rischio morte dell’assicurato da parte dell’assicuratore  verso il pagamento dei premi pattuiti che obbligano la Compagnia assicurativa (al verificarsi dell’evento) a pagare la prestazione pattuita e non ad una restituzione del capitale formatosi nel frattempo. Si riporta un passaggio della sentenza: “La prestazione nei fatti non risulta collegata a valori di quote di investimento o altro, ma é predeterminata sulla scorta dei premi ed alla rivalutazione degli stessi in modo da sostituire, ad un certo punto, il versamento dei premi stessi, non é quindi legata ad un qualsiasi rendimento di una qualche gestione separata, ma é proprio una polizza a prestazione sicura (il premio) a fronte di un’alea (la morte dell’assicurato) ed il fatto di consentire una scelta fra le varie linee di investimento del fondo premi formato dalla Compagnia non ha attinenza con la causa del contratto e non é plausibile (perché non previsto in polizza) che questo fatto possa consentire al contraente di aggiustare in qualche modo la polizza nel tempo. La causa del contratto rimane pertanto assicurativa anche se é previsto il diritto di riscatto e di riduzione che sono regole di legge anche per i contratti di assicurazione sulla vita (art. 1925 c.c.).

Infine i giudici hanno evidenziato un ultimo passaggio, non meno importante. Infatti la Società al momento della prematura scomparsa di un assicurato/socio ha fatto concorrere come sopravvenienza attiva nella determinazione del reddito di impresa  il capitale assicurato incassato. Quindi  i premi pagati dalla Società per le polizze stipulate sono costi inerenti all’attività dell’impresa stessa e non crediti nei confronti della Compagnia assicurativa.