di Nicola Mondelli

Importante, e per certi aspetti innovativa, è la sentenza n. 148 del 4 aprile.23 giugno 2017 pronunciata dai giudici della Corte Costituzionale in merito alla questione di legittimità costituzionale degli articoli 204 e 205 del dpr 1092/73, il testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, e dell’articolo 26 della legge 315/1967, promossa dalla Corte dei Conti- sezione giurisdizionale per la Regione Calabria. La parte incriminata è quella in cui non prevedono – diversamente da quanto dispone l’articolo 52 della legge 88/1989 per le pensioni del settore privato a carico dell’Inps – che i provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento di quiescenza possano essere rettificati in ogni momento dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione.

Sentenza importante perché i giudici della Consulta, nel dichiarare l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dai giudici della Corte dei conti, hanno esplicitamente ribadito la legittimità delle norme in vigore, contenute appunto nei citati articoli del dpr 1092/1973 e della legge 315/1967, in tema di termini e di motivi per disporre una revoca o una modifica in peius di un provvedimento definitivo di pensione. Tali norme prevedono infatti che un provvedimento definitivo di pensione può essere revocato o modificato dall’ufficio che lo ha disposto quando:

– vi sia stato un errore di fatto o sia stato omesso di tenere conto di elementi risultanti dagli atti o vi sia stato un errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo di riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l’ammontare della pensione( in tali casi il provvedimento è revocato o modificato d’ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso ovvero dalla data in cui il provvedimento è stato comunicato all’interessato);

– siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento o quando il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi (in tali casi il termine per la revoca o la modifica d’ufficio è di 60 giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti).

Sentenza innovativa invece nella parte in cui gli stessi giudici, preso atto che i due regimi pensionistici continuano, nonostante alcuni interventi di convergenza operati negli anni dal legislatore, a presentare elementi di motivata diversità, ritengono tuttavia che vi sono aspetti della disciplina pensionistica che, come quelli esaminati nel corso della seduta della Corte, richiederebbero da parte del legislatore un percorso di armonizzazione nell’ambito dell’ormai unitario ente pubblico di previdenza obbligatoria (Inps) nel rapporto con l’utente pensionato, laddove sono venute meno talune differenze settoriali che potevano motivare una diversità di regolamentazione.

L’intervento normativo dovrebbe, in particolare, armonizzare le esigenze di ripristinare la legittimità dal trattamento pensionistico con l’opposta esigenza di tutelare, in presenza di situazioni e condizioni di rilevanza sociale, l’affidamento del pensionato nella stabilità del suo trattamento, decorso un lasso temporale adeguato e coerente con il complessivo ordinamento giuridico.

L’auspicio formulato dalla Corte, come si legge in coda alle motivazioni della sentenza, è che il legislatore proceda, con adeguata tempestività, ad adottare un intervento inteso a superare le riscontrate divergenze tra le discipline previste rispettivamente per il settore pubblico e per il settore privato dalle norme citate in premessa.

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