Il disegno di legge sulla concorrenza si avvia all’approdo finale, con il previsto voto del Senato, dopo due anni di discussioni, ripensamenti, lunghe pause, ostacoli vari, spinte e frenature lobbistiche. Il testo finale è espressione di una complessa mediazione che difficilmente avrebbe potuto approdare a una soluzione migliore date le forze in campo, nonostante l’enorme lavoro svolto, sia pur tra veti e sollecitazioni contrapposti, per esempio da Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria di Palazzo Madama. L’intento di molti è, comunque, di riprendere alcuni degli argomenti accantonati per affrontarli in un momento possibilmente più favorevole. Ci si deve allora accontentare del meno peggio? Forse sì. Ma ciò che non appare digeribile è la forzatura compiuta, nell’esame a Montecitorio, cassando la modifica approvata al Senato che abrogava il tacito rinnovo, alla scadenza, delle polizze assicurative del ramo danni ( con esclusione della r.c. auto) e, soprattutto, il voler far passare questa abrogazione come una tutela dell’assicurato che così fruirebbe di un prezzo minore. Con i numeri in un’assemblea si può fare di tutto; ma non si può raggiungere un tale livello di impudenza e di contrasto della ragione da sostenere che la libera scelta dell’assicurato, che può osservare il mercato e orientarsi verso i migliori trattamenti quando deve decidere il rinnovo della polizza, sia negativa per il cliente rispetto all’automatismo dello stesso rinnovo. Una tale concezione, che fa strame di dottrine, applicazioni e prassi, non ha diritto, per ragioni di decenza, di vedersi materializzata in una normativa che dovrebbe favorire la concorrenza; semmai può avere ospitalità in un testo che santifichi gli oligopoli. Del resto, basta osservare il vantaggio di prezzo diffusamente conseguito dagli assicurati, come precisi dati dimostrano, allorché il tacito rinnovo è stato superato per la rc auto (e speriamo che non ritorni la voglia di ripristinarlo) per rendersi conto dell’enormità delle giustificazioni così addotte. Le compagnie interessate a competere ad armi pari non dovrebbero avere nulla da temere da un possibile rimescolamento delle carte. Se ci fosse ancora spazio al Senato, un tale strappo sarebbe subito da riparare anche per evitare che una generale normativa che avrebbe potuto essere migliore sia sfigurata da una decisione e dal significato a essa sotteso chiaramente anticoncorrenziali.
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