di Renzo La Costa

La vigente normativa sulla indennizzabilità dell’infortunio in itinere nel percorso casa-lavoro, prevede che non sempre possa essere indennizzato dall’Inail l’infortunio occorso in costanza di uso di automezzo privato: pur tuttavia, l’allegazione di ogni prova utile della necessità di far ricorso al mezzo privato per cui rivendicare l’indennizzo è esclusivo onere del lavoratore. Così in Cassazione civile, sez. Lav., 7 luglio 2017, n. 16835. La Corte d’appello di Napoli, respingeva l’appello proposto da una lavoratrice avverso la sentenza del tribunale che aveva respinto la sua domanda intesa ad ottenere il riconoscimento delle prestazioni di legge per i postumi subiti a seguito di infortunio in itinere, allorché mentre con il proprio motociclo rientrava a casa dal posto di lavoro cadeva rovinosamente a terra. La Corte respingeva nel merito la domanda della lavoratrice sostenendo che non fosse stata adeguatamente comprovata la necessità di fare ricorso al mezzo privato. Per la cassazione di questa sentenza, ricorre la lavoratrice. Nella complessa motivazione con cui ha rigettato la domanda attorea nel merito, la Corte d’appello ha ritenuto tra l’altro che l’infortunata nulla avesse addotto e provato «circa la totale carenza all’epoca di idonei mezzi di trasporto pubblico ovvero circa l’impossibilità di fruire di corse con fermate intermedie poste ai margini della tratta interessata. Né erano state parimenti addotte prove testimoniali per «confermare la sussistenza delle allegate esigenze che avrebbero imposto l’uso del motociclo», così come «alcuna deduzione era stata fatta circa le specifiche necessità domestiche o familiari che imponessero a costei un sollecito rientro a casa». L’art. 12 del dlgs 38/2000 prevede che «l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché’ necessitato». Pronunciandosi sulla corretta interpretazione della stessa norma, la Suprema corte ha quindi riconosciuto che secondo la disciplina in vigore in materia di infortunio in itinere anche l’uso del mezzo proprio non è di ostacolo all’indennizzabilità, ma permane la condizione, già dettata dalla giurisprudenza, che l’uso sia «necessitato» ovvero che non sussista altra agevole e meno rischiosa soluzione (in particolare attraverso l’utilizzo di mezzi pubblici che comporta un minore grado di esposizione al rischio della strada). Sulla scorta della articolata interpretazione giurisprudenziale in materia (anche precedente l’entrata in vigore della disciplina) deve peraltro riconoscersi che il requisito della necessità in discorso non deve essere inteso in senso assoluto, essendo sufficiente una necessità relativa; ossia emergente anche attraverso i molteplici fattori, non definibili in astratto, che condizionano la scelta del mezzo privato rispetto a quello pubblico (esigenze personali e familiari, altri interessi meritevoli di tutela). Nel caso in esame la Corte territoriale ha però messo in evidenza che la lavoratrice non aveva dedotto nessuna prova sulla totale carenza di mezzi pubblici lunga la stessa tratta; così come, nessuna prova era stata dedotta circa le specifiche necessità domestiche o familiari che imponessero il sollecito rientro presso l’abitazione.

Alla luce di tali considerazioni, la decisione si rivela quindi corretta sul piano logico e giuridico e si sottrae alle censure sollevate nel ricorso, atteso che chi domanda il riconoscimento dell’infortunio in itinere è tenuto a dare prova dell’uso necessitato (per un caso analogo, v. Cass. 28 novembre 2001, n. 15068 che ha escluso l’infortunio in itinere in una fattispecie in cui una lavoratrice in giovane età, che non aveva addotto particolari esigenze familiari, poteva coprire il tragitto dall’abitazione al luogo di lavoro agevolmente, sia all’andata che al ritorno, in parte mediante l’uso di un frequente mezzo pubblico ed in parte, per circa un km a piedi). La stessa prova non può ritenersi assolta per intero attraverso l’uso di generiche presunzioni (ritenendo cioè, come pure si sostiene in ricorso, in re ipsa l’esigenza di poter dedicare il massimo di tempo libero ai più svariati bisogni della vita di ciascuno e di migliorare così «la qualità della vita»). Le Sez. unite con sentenza n. 8202 del 20/4/2005 hanno anzitutto statuito che nel rito del lavoro, il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi. Per i suesposti motivi, il ricorso è stato rigettato
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