di Claudia Cervini
Per le banche italiane nel 2016 il peso dei crediti dubbi è stato pari a quattro volte la media europea. Nello specifico, i crediti dubbi sono arrivati al 6,7% dei crediti complessivi, quasi il quadruplo della media Ue (1,8%), anche se in riduzione (8,8% nel 2014 e 8,3% nel 2015). È quanto emerge dall’analisi sulle banche internazionali dell’Ufficio Studi di Mediobanca . Il rapporto tra crediti dubbi netti e il totale di crediti verso la clientela, considerando i primi cinque gruppi bancari italiani, è sceso lo scorso anno dal 10,6% all’8,7% a fronte di una media europea dell’1,8% (2% nel 2015).
Considerando solo i primi due gruppi italiani (Intesa Sanpaolo e Unicredit ) l’incidenza scende al 6,7% nel 2016 dall’8,3%. Le banche italiane mostrano comunque un buon livello di copertura di tali crediti con fondi e garanzie (92,9% per i primi cinque gruppi Italia contro una media del 94,6%) e soprattutto una bassa incidenza dei crediti oggetto di concessione (forborne performing, quelli per cui è avvenuto un rifinanziamento o una modifica delle condizioni contrattuali) che sono pari all’11,2% dei crediti deteriorati lordi rispetto al 25,5% della media europea (Spagna 74,2%, Germania 52,5%).
Più bassa rispetto agli altri Paesi europei e alla media delle banche continentali l’esposizione alle attività di cosiddetto «livello 3» (derivati, titoli di debito, titoli di capitale e ocr, finanziamenti). Più elevata invece l’esposizione verso titoli sovrani che al 30 giugno 2016 era pari al 17,1% del totale degli attivi a fronte del 9,7 della media continentale.

Dall’analisi dell’Ufficio Studi di Mediobanca , condotta sui 66 maggiori gruppi bancari internazionali, è emerso anche che è cinese la prima banca al mondo per attivi. Stando all’indagine, a fine 2016 Industrial and Commercial Bank of China ha raggiunto 3,297 miliardi di euro di attivi superando JP Morgan (3,178 miliardi). Nella classifica delle prime sei banche mondiali per asset sono presenti quattro istituti cinesi (oltre a Icb anche China Construction Bank, Agricultural Bank of China e Bank of China) e due americani (JpMorgan e Bofa).
Per incontrare il primo gruppo europeo bisogna scendere all’ottava posizione. Si tratta di Hsbc con 2,352 miliardi di euro di attivi, mentre le italiane Unicredit (879 miliardi) e Intesa Sanpaolo (766 miliardi) sono rispettivamente ventiquattresima e trentacinquesima.

Il 2016 è stato per la redditività banche un anno in chiaroscuro. Nel 2016 i ricavi degli istituti negli Usa sono cresciuti dell’1,7%, in Europa sono calati del 6,2%. Le banche europee hanno perso terreno dal punto di vista sia del margine d’interesse (-5,3% contro +3,8% in Usa) sia delle commissioni (-6% rispetto a -2,6%) e non si sono risollevate neanche con il trading (-14% contro +14%). Inevitabile lo sforzo di contenimento dei costi operativi (-2,8% in Europa e -0,4% in Usa), anche perché le rettifiche su crediti continuano a mordere (+10,8% Europa, +22,1% in Usa). Il risultato corrente si contrae di quasi il 25% in Europa e cresce del 2% per negli Usa, quello netto cade del 32% in Europa (5 istituti su 21 in perdita) e migliora del 23,6% negli Usa.

Mediobanca ha notato inoltre che dal 2015 al 2016 i gruppi bancari hanno aumentato in misura considerevole la dimensione media in termini di totale degli attivi. Tale crescita è avvenuta sia per linee interne sia per effetto di fusioni e acquisizioni. L’incremento si è concretizzato in tutte le principali aree geografiche, ma in misura più significativa in Cina (+271%) rispetto a Stati Uniti (+64%), Giappone (+61%) ed Europa (+34%).
Lo sviluppo per linee esterne ha costituito un fattore determinante nella crescita dimensionale dei gruppi bancari delle tre maggiori aree economiche mondiali. Nel periodo 2006-2015 si contano 22 mega-merger, di cui 10 hanno riguardato le banche europee, 10 quelle statunitensi e 2 quelle giapponesi, si legge nello studio. Nel decennio precedente (1996-2005) le grandi fusioni erano state ben 49, di cui 36 concluse nel quadriennio 1998-2001. Di queste, 22 hanno riguardato le banche europee, 17 quelle degli Stati Uniti e 9 le banche giapponesi; una sola, l’acquisizione della Bankers Trust da parte della Deutsche Bank nel 1999, ha interessato aree geografiche differenti. Le grandi operazioni abbiano riguardato esclusivamente gruppi bancari appartenenti alla stessa area geografica e, in ambito europeo, principalmente gruppi con sede nello stesso Paese. Le uniche grandi acquisizioni transfrontaliere europee nel decennio sono state quelle dell’olandese Abn Amro Holding da parte di un consorzio costituito da Rbs (Gb), Fortis (Be/Nl) e Banco Santander (Es), avvenuta nel 2007 con una operazione che ha coinvolto quattro Paesi della Ue e della belga Fortis Bank da parte della francese Bnp Paribas nel 2009. (riproduzione riservata)
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