di Paola Valentini
I fondi pensione tengono la rotta in uno dei semestri più difficili della storia dei mercati culminato con la scelta a sorpresa della Gran Bretagna di uscire dall’Ue. Il tutto mentre si preannuncia un autunno caldo per la previdenza italiana: il tavolo di lavoro su cui si stanno confrontando governo e sindacati sfocerà nella legge di Stabilità 2017 che dovrebbe consentire ai lavoratori di andare in pensione prima con una decurtazione dell’assegno tramite il nuovo istituto dell’Anticipo pensionistico (Ape). Sullo sfondo resta sempre il tema del rilancio delle iscrizioni ai fondi pensione, ancora basse rispetto alla platea di riferimento. Fatto sta che tra tassi ai minimi storici e borse, Wall Street a parte, poco brillanti, è stato un periodo di forte stress anche per i gestori dei fondi pensione. Che però alla fine dei sei mesi hanno tutto sommato retto all’impatto degli shock che si sono abbattuti su di loro in questo periodo. A partire dai fondi pensione negoziali che hanno messo a segno un rendimento medio netto dello 0,5%, a fronte del Tfr in azienda che nel periodo si è rivalutato dello 0,62% netto.
E’ quanto emerge da un’analisi di MF-Milano Finanza che ha raccolto i risultati del primo semestre di questi comparti. In generale sono andate meglio le linee bilanciate e obbligazionarie, mentre quelle azionarie hanno accusato la flessione delle borse nel semestre. La stessa tendenza si rileva tra i fondi pensione aperti, che però hanno registrato nei sei mesi un risultato medio netto del -0,6% (dati Fida) proprio per via di una maggiore presenza in questi comparti di linee azionarie. Ma non manca chi ha reso più del 3% (si veda tabella) sia nei negoziali, sia negli aperti. Anzi questi ultimi, proprio per una gestione che è in generale meno conservativa rispetto a quella dei negoziali, hanno superato anche il 4%. Come la linea Giustiniana di Intesa Sanpaolo Vita (+4,6%) che precede la Zed Omnifund Linea Obbligazionaria di Zurich Life Insurance Italia (+4,46%). e Fideuram Sicurezza di Fideuram Vita (4,24%). Quanto ai negoziali, la linea prima per rendimento è la Prudente (3,13%) di Prevaer, seguita dal comparto Conservativo di Telemaco (3,09%) e dalla Bilanciata di Laborfonds (3,05%).
E a proposito dei risultati molto bassi, o addirittura negativi, ottenuti dai comparti con la garanzia del capitale (o del rendimento), Robero Arioli, presidente del fondo Pegaso (il comparto dei lavoratori delle utility), nota che «l’accresciuta volatilità dei titoli azionari e i bassi rendimenti delle obbligazioni, ha indotto il gestore del comparto garantito ad adottare una gestione degli investimenti estremamente prudenziale per evitare di incorrere nell’attivazione delle garanzie di capitale e consolidamento dei rendimenti; è un dato comune a tutti i fondi pensione che ha prodotto risultati finanziari leggermente inferiori alla rivalutazione del Tfr. Va ricordato che le integrazioni di garanzia pagate dal gestore del comparto non vengono espresse nei rendimenti netti e che gli aderenti hanno beneficiato del contributo del datore di lavoro e della deducibilità fiscale. In ogni caso Arioli avverte che «permangono motivi di instabilità e incertezza, dalla Brexit, ai dubbi sulla sostenibilità del sistema bancario italiano ed europeo, ai timori per un rallentamento della crescita della Cina superiore alle attese, fino a eventuali futuri rialzi dei tassi. Quindi occorre, per quanto possibile, rafforzare l’attività di monitoraggio e controllo e adottare strategie di protezione del patrimonio del fondo».
Anche per gli iscritti ai fondi questo è il momento di chiedersi se sia opportuno cambiare linea, magari optando per comparti bilanciati nel caso in cui si è troppo esposti sull’obbligazionario i cui rendimenti sono schiacciati verso il basso dalle politiche espansive delle banche centrali che si prevede resteranno tali per diverso tempo come ha sottolineato giovedì 22 luglio il presidente della Bce Mario Draghi. Intanto proprio per andare incontro alle esigenze dei risparmiatori, la Covip ha rivisto le regole sulle modalità di adesione e sulle caratteristiche dei principali documenti informativi che i potenziali aderenti devono ricevere prima di iscriversi a un fondo pensione. L’obiettivo è aumentare la trasparenza e la qualità delle informazioni fornite dai fondi pensione e di accrescere la consapevolezza nelle scelte relative al risparmio previdenziale. E’ stato anche regolamentato meglio il collocamento on-line dei fondi pensione aperti, dei negoziali e dei piani individuali pensionistici (pip). «La possibilità di poter utilizzare le adesioni on-line può consentire una riduzione dei costi e una maggiore diffusione dei fondi pensione» commenta Mauro Castiglioni, presidente del comitato previdenza di Assogestioni.
Le novità sono state introdotte dalle deliberazioni del 25 maggio 2016, che entreranno in vigore il primo gennaio 2017. Nell’ambito di questi interventi, l’autorità di vigilanza presieduta da Mario Padula ha ribattezzato il Progetto esemplificativo standardizzato. Questo documento, che fornisce una proiezione della rendita che l’iscritto percepirà dal fondo, ora si chiamerà «La mia pensione complementare», sul modello della Mia Pensione, ovvero la busta arancione spedita dall’Inps che insieme il servizio on-line sul sito dell’ente di previdenza consentono al lavoratore di avere una simulazione della pensione pubblica attesa. «La riorganizzazione della Nota informativa voluta dalla Covip consente un accesso immediato alle principali informazioni del fondo pensione e una riduzione degli oneri amministrativi», dice Castiglioni. «grazie anche alle osservazioni veicolate da Assogestioni, la Commissione ha effettuato delle importanti modifiche che potranno agevolare l’attività dei fondi nella fase di raccolta delle adesioni».
Un punto rilevante riguarda i costi. In particolare, nel nuovo schema di Nota informativa, i fondi pensione dovranno mette a confronto l’Indicatore sintetico dei costi (Isc) di ciascun comparto con i dati messi a disposizione dalla Covip e relativi all’Isc medio, minimo e massimo dei comparti della stessa categoria. utti interventi che vanno nella direzione di rafforzare il comparto della previdenza complementare chiamato a fornire agli italiani un pilastro fondamentale per integrare la pensione pubblica destinata a non essere più generosa come una volta. E L’Italia nel confronto internazionale non è messa bene. Il Paese è al 28° posto come sicurezza finanziaria post-pensionamento, in base al Global Retirement Index 2016 elaborato da Natixis Global Asset Management. L’indice (introdotto nel 2013), permette di confrontare le best practice in tema di politiche previdenziali in 43 Paesi. Guidano la classifica gli Stati del Nord Europa, con la Norvegia al primo posto, seguita da Svizzera, Islanda, Svezia, Germania, Paesi Bassi e Austria. Nel gruppo c’è anche la Nuova Zelanda (al quarto posto), l’Australia (sesta) e il Canada (in decima posizione). «La pensione sembra una cosa semplice: le persone lavorano e risparmiano, i datori di lavoro versano i contributi e la tassazione sugli stipendi va a finanziare i servizi pubblici, garantendo un flusso prevedibile di risorse per un pensionamento finanziariamente sicuro», afferma John Hailer, ceo di Natixis Global Asset Management per le Americhe e l’Asia, «fattori demografici ed economici hanno però reso i vecchi modelli ormai insostenibili, ma i Paesi che guidano il nostro Indice dimostrano di aver trovato approcci innovativi per adattarsi al nuovo contesto e rappresentano così un esempio».
L’Italia, pur essendo nel 2016, come detto al 28° posto, registra un leggero miglioramento rispetto alla ventinovesima posizione del 2015 dovuto principalmente agli indicatori relativi alla qualità della vita. Ma resta ancora molta strada da percorrere. «E’ evidente come nei prossimi decenni gli individui dovranno fare di più per coprire le necessità dopo il pensionamento, ma anche facendo ciò assicurare la sicurezza previdenziale non è unicamente loro responsabilità», afferma Antonio Bottillo, country head ed executive managing director per l’Italia di Natixis Global Am. In media, gli italiani dichiarano di aver bisogno del 71% del loro stipendio per poter vivere una volta andati in pensione.
Tale dato si posiziona nella fascia bassa di quell’intervallo (70-80%) raccomandato generalmente, ma ben al di sopra della media globale (64%). Ma solo il 42% ha un piano pensionistico privato con contributo del datore di lavoro e i risparmi medi annuali si attestano al 12%. «Politici, datori di lavoro, individui, industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria, ognuno di essi riveste un ruolo chiave nel migliorare la sicurezza finanziaria post-pensionamento», aggiunge Bottillo, «raggiungere una sicurezza previdenziale è un’impresa difficile, ma possibile se tutti fanno la propria parte. Il fallimento non è un’opzione».
Il Global Retirement Index 2016 evidenzia quattro tendenze che caratterizzano i Paesi classificati nelle prime posizioni. Innanzitutto l’accessibilità: una forza lavoro che invecchia e le aspettative di vita in aumento in molti Paesi occidentali hanno reso i tradizionali modelli di previdenza pubblica insostenibili. Nel momento in cui gli individui si assumono maggiore responsabilità per la propria previdenza, i governi devono assicurarsi che i lavoratori abbiano accesso a piani pensionistici individuali o aziendali. C’è poi la necessità di incentivi per l’accantonamento di lungo termine in vista del pensionamento. Ad esempio una tassazione favorevole sui risparmi previdenziali aiuta i lavoratori ad accantonare più denaro, in modo da provvedere più autonomamente ai propri bisogni.
Terzo aspetto riguarda il coinvolgimento: l’adesione automatica può essere un passo nella giusta direzione. Un’altra iniziativa è assicurarsi che i lavoratori abbiano un giusto equilibrio di investimenti e abbastanza informazioni per aiutarli a massimizzare i benefici dell’adesione. Senza dimenticare, come quarto punto, le politiche monetarie, fiscali e sanitarie le quali giocano tutte un ruolo affinché i pensionati possano essere auto sufficienti. Proprio le politiche monetarie sono finite sul banco degli imputati perché le misure di espansione messe in atto dalle principali banche centrali per ravvivare l’inflazione hanno abbassato ai minimi i tassi creando difficoltà ai gestori previdenziali che hanno la missione di far rendere i contributi versati dai lavoratori. I tradizionali investimenti in obbligazioni hanno perso quindi appeal, mentre le classiche azioni sono un’asset class più volatile che per sua natura fa fatica a entrare nell’asset allocation dei gestori previdenziali perché questi necessitano di un flusso di reddito il più possibile costante negli anni.
Proprio per dare una marcia in più alle performance e stabilizzare la redditività, si stanno ampliando le incursioni dei fondi negli investimenti alternativi come quelli in infrastrutture. L’ultimo esempio arriva da Eurofer (fondo pensione dei lavoratori delle Ferrovie dello Stato presieduto da Fabio Ortolani), il cui comparto Bilanciato ha investito 25 milioni nel Macquarie European Infrastructure Fund 5. Nel semestre questo comparto ha reso lo 0,58%, gli altri due comparti, il Garantito e il Dinamico, hanno messo a segno, rispettivamente il -0,17% e il +0,05%. «L’investimento in un prodotto di tale tipo consente di ottenere la massima diversificazione e il conseguimento di un cash flow stabile. Inoltre», spiega il fondo, «dovrebbe permettere di usufruire del credito d’imposta introdotto dalla Legge di Stabilità 2015». (riproduzione riservata)
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