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D all’ultima indagine annuale RiskMonitor di Allianz Global Investors emerge che gli investitori istituzionali devono ripensare le strategie di gestione del rischio. E questa esigenza è molto sentita anche in Italia dove soltanto il 28% ritiene che le formule anti-rischio che si utilizzavano prima della grande crisi del 2007-2008 possano, ancora oggi, offrire una buona protezione degli asset durante le fasi di ribasso dei mercati. Risk Monitor ha coinvolto 755 investitori istituzionali in 23 Paesi tra Nord America, Europa e Asia per un patrimonio totale di 26 mila miliardi di dollari, approfondendo le scelte sulla gestione del rischio, costruzione del portafoglio e asset allocation. Come spiega a MF-Milano Finanza Irshaad Ahmad, head of institutional Europe di Allianz Global Investors, divisione che ha masse in gestione del segmento istituzionale in Europa per 245 miliardi di euro. Ahmad è nel gruppo da molti anni ed membro del comitato esecutivo della società.
Domanda. Quali richieste arrivano dagli istituzionali?
Risposta. Hanno espresso la necessità di migliori strumenti per la gestione del rischio. Il contesto di bassi tassi di interesse è destinato a durare ancora a lungo e per affrontarlo ci vuole un nuovo approccio. Dalla crisi finanziaria globale del 2008 i processi di risk management hanno registrato cambiamenti molto contenuti. Prima della crisi, gli investitori adottavano principalmente tre strategie: diversificazione per asset class (57%), geografica (53%) e gestione della duration (44%). Nonostante il 62% degli intervistati abbia ammesso che queste strategie non hanno fornito una protezione adeguata contro i rischi di ribasso, di fatto dopo la crisi il loro utilizzo ha registrato un aumento. Il 58% degli investitori si affida alla diversificazione per asset class, il 56% a quella geografica e il 54% alla gestione della duration.
D. Cosa indicano gli investitori come rischio principale?
R. A livello globale, il 77% degli investitori è preoccupato del rischio legato al mercato azionario, seguito dal rischio tasso d’interesse (75%), il rischio di eventi estremi (75%) e il rischio valutario (74%). L’84% degli italiani che ha risposto ha invece indicato il credit risk come rischio maggiore, seguito dal rischio di tasso di interesse (80%).

D. E quindi cosa chiedono?
R. Due terzi chiede nuove strategie che offrano un migliore equilibrio nel rapporto rischio-rendimento, una maggiore protezione contro i rischi di ribasso e la sostituzione degli approcci tradizionali alla gestione del rischio. In linea con questa esigenza, il 48% degli intervistati riconosce che la propria società sarebbe disposta a pagare di più per avere accesso a migliori strategie di risk management e il 54% afferma di avere accantonato risorse aggiuntive per ottimizzare la gestione del rischio. E’ incoraggiante il fatto che riconoscano la necessità di nuove soluzioni.

D. In ogni caso la preferenza per i titoli azionari pare indicare che la propensione al rischio non è stata del tutto azzerata dalla volatilità del mercato. Giusto?
R. Corretto. In particolare, anche quest’anno, le azioni statunitensi e le azioni europee, indicate rispettivamente dal 29% e dal 28% degli intervistati, si classificano ancora una volta ai primi posti tra gli investimenti di lungo termine. Nel comparto obbligazionario, è necessario adottare una strategia attiva. Infine si possono guardare alle asset class alternative, come private debt o il segmento infrastrutturale, che garantiscono un premio di illiquidità e anche un premio legato alla complessità delle infrastrutture stesse e dalla loro effettiva realizzazione. (riproduzione riservata)
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