di Rebecca Carlino
Chi ha origini irlandesi si è affrettato a chiedere cittadinanza e passaporto dell’Eire in modo da garantirsi la libera circolazione nell’Unione Europea anche dopo l’uscita dalla Gran Bretagna. Ma un altro passaporto avrà un ruolo chiave nelle trattative che porteranno a nuovi rapporti tra Londra e Bruxelles, ossia quello dei servizi finanziari. Londra è di fatto la capitale finanziaria dell’Unione europea e qui risiedono molti big dell’asset management che possono vendere i propri prodotti nel Continente grazie all’integrazione di regole e mercato. Oltre un quinto dei 5,5 trillioni di sterline gestite a Londra appartengono a investitori europei. E proprio la Gran Bretagna ha sempre avuto un ruolo chiave nella costruzione delle direttive europee in materia di servizi finanziari. Ora, nel timore che la situazione cambi, molti guardano a Dublino e Lussemburgo per non rischiare di essere tagliati fuori. Il tutto in un momento già non facile per gli asset manager alle prese con volatilità dei mercati e tassi bassi che rendono più difficile offrire performance stabili ai loro clienti.

In una nota firmata da Philippe Ithurbide, global head of research, strategy and analysis e da Didier Borowski, head of macroeconomics di Amundi, si ricorda che proprio quello dei servizi finanziari sarà un tema scottante nel divorzio tra Gran Bretagna ed Europa. La ricerca sottolinea che durante il periodo di negoziazione, i governi cercheranno di ridurre al minimo l’impatto sulla fiducia, garantendo che gli scambi tra Ue e Regno Unito non siano fortemente influenzati. I negoziati sui beni non dovrebbero essere motivo di preoccupazione in quanto gli interessi di entrambe le parti sono in gran parte convergenti. «Tuttavia, i negoziati circa i servizi finanziari, promettono di essere lunghi e difficili, in quanto sono strategici sia per il Regno Unito che per l’Ue», avvertono i due economisti. Il Regno Unito è il centro finanziario leader a livello di Ue: incide per quasi il 25% dei servizi finanziari e il 40% delle sue esportazioni di servizi finanziari. I servizi finanziari rappresentano l’8% del pil del Regno Unito. «Anche se nessun mercato finanziario è in grado di sostituire Londra, la perdita di un passaporto europeo per le banche del Regno Unito rischia di portare al trasferimento di alcuni segmenti di business in Irlanda o in alcuni mercati Ue», aggiungono gli esperti. Il surplus commerciale derivante dai servizi britannici (5% del pil) potrebbe quindi venire meno nel futuro, rendendo il finanziamento del deficit esterno, che è al suo massimo storico (in media -5% del pil nel corso degli ultimi due anni), complicato.

Non è un caso che a essere più colpiti sul listino di Londra nei giorni successivi al referendum siano stati gli asset manager quotati, come Aberdeen, Schroders, Henderson o Prudential (che detiene M&G). Ma un impatto lo hanno avuto anche i gestori Usa che da sempre usano Londra come porto che dà accesso a tutto il mercato europeo.

Le direttive europee che si sono susseguite per regolamentare il mercato dei fondi comuni hanno portato alla nascita di un vero e proprio passaporto europeo delle società di gestione, nuove norme e canali per le fusioni transfrontaliere di Organismi di investimento collettivo (Oicvm). Il passaporto del gestore permette a una sgr di gestire un fondo con sede in un altro Paese membro; questo ha favorito nel settore una concentrazione delle strutture e una razionalizzazione della gamma di prodotti. Non solo. Una società di gestione può creare in più stati membri dei fondi (Oicvm feeder) che raccolgono il risparmio e può centralizzarne la gestione. Per le società di gestione del risparmio europee questo ha significato poter operare su diversi mercati europei promuovendo poi dalla base una gestione centralizzata e abbattendo i costi. Direttive successive si sono poi occupate di fondi alternativi e private equity e più di recente anche il mondo dei fondi pensione si è aperto a una dimensione transfrontaliera. Le direttivi Mifid e Mifid II si sono invece concentrate sulla consulenza, la distribuzione e la tutela dei risparmiatori. E in tutte queste direttive la Gran Bretagna ha avuto un ruolo chiave nel delineare il quadro normativo e nel premere per un mercato finanziario sempre più aperto anche nei confronti degli operatori extra europei. Lo sottolineano tutti i commenti a caldo arrivati nei giorni che hanno seguito la Brexit, da quello dell’associazione dei gestori alternativi Aima a quello dell’associazione anglosassone The investment Association. Ora gli sforzi saranno volti a far sì che chi gestisce da Londra non sia tagliato fuori dal mercato europeo.

In attesa, però, che le trattative per il divorzio inizino, come sta avvenendo per i cittadini che si stanno attrezzando con un passaporto irlandese, chi non ha una gamma lussemburghese o irlandese si sta organizzando per crearla. Irish Times riporta che M&G, asset manager del gruppo Prudential, lancerà da Dublino una gamma di fondi irlandese. E così faranno probabilmente tutti gli asset manager che finora non avevano prodotti irlandesi o lussemburghesi. A essere penalizzate potrebbero essere le boutique più piccole che dovranno sostenere maggiori costi in una fase non facile per l’industria. E così in molti si aspettano una nuova fase di consolidamento per il settore. Mentre a festeggiare saranno studi legali e consulenti che dovranno aiutare gli asset manager a organizzarsi.

D’altronde un’analisi di DlaPiper ricorda che «la decisione di lasciare l’Unione Europea solleva molte incertezze per il settore finanziario, anche perché per questo settore l’accesso al mercato unico è una priorità». Per questa ragione banker e asset manager britannici si muoveranno su due fronti, cercando di influenzare le mosse del governo nel corso delle negoziazioni per l’uscita e implementando piani di emergenza per garantirsi comunque l’accesso al mercato unico. Sottolinea Giordano Lombardo, ceo and group cio di Pioneer Investments: «La nostra view complessiva è che l’industria del risparmio gestito, e, in un senso più ampio, il Regno Unito e l’Europa, emergeranno da questa decisione senza riportare gravi conseguenze, anche se nel breve e medio periodo saranno inevitabili volatilità e incertezza, all’indomani del voto». Conclude Lombardo: «Siamo fiduciosi anche sul settore dell’asset management nel suo complesso. Ci sarà di certo molto lavoro da fare nei prossimi mesi (e negli anni a venire) da parte dei governi e delle istituzioni europee per mettere a punto accordi di passporting tra Gran Bretagna e Unione Europea. Noi però siamo convinti che questo processo si risolverà con successo, se tutte le parti si concentreranno sull’interesse dei clienti». (riproduzione riservata)
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