di Paola Valentini

Il richiamo della Consob alle società di risparmio gestito, perché stiano attente a collocare fondi domiciliati all’estero troppo costosi per il risparmiatore, inciderà sulla struttura delle commissioni pagate dai sottoscrittori. Ne sono convinti gli analisti di Main First che in uno studio sugli asset manager italiani sottolineano che questo intervento è l’inizio della fine per gli attuali metodi di calcolo delle commissioni di performance, destinate a calare.

Anche se ciò non si tradurrà in un risparmio per gli investitori perché tale fonte di ricavi sarà compensata dai costi fissi. Che comunque le reti di promotori dovranno giustificare ai clienti.

Nel dettaglio la moral suasion della Commissione presieduta da Giuseppe Vegas si applica ai distributori di fondi esteri ed estero-vestiti, che rappresentano il 70% circa del patrimonio dei fondi collocati in Italia. Per i fondi di diritto italiano, la Banca d’Italia ha dettato dieci anni fa condizioni stringenti all’applicazione delle commissioni di incentivo, ma le stesse norme non sono presenti in tutti gli Stati europei. Il riferimento è soprattutto all’Irlanda e al Lussemburgo dove risiedono molti fondi che fanno capo a sgr italiane. La pratica del passaporto estero è in voga da diversi anni e che è partita per sfruttare una fiscalità più bassa che questi Paesi offrono alle società che vi si stabiliscono. E che ha anche risvolti sulla trasparenza e l’onerosità dei prodotti. «La selezione dei prodotti da offrire o consigliare alla clientela non può fondarsi su valutazioni di mero vantaggio economico per l’intermediario, ma deve tendere prioritariamente a soddisfare gli interessi dei clienti serviti», spiega la Consob che sul tema nei giorni scorsi ha approvato una comunicazione in base alla Mifid, la direttiva europea sui servizi d’investimento. «L’iniziativa, che non introduce nuove regole», spiega la Consob, «intende richiamare gli intermediari distributori di fondi caratterizzati da meccanismi commissionali più vantaggiosi per i gestori e per gli stessi distributori a individuare e a gestire i conflitti d’interesse che ne derivano. Consob si riserva di verificare (…) la condotta degli intermediari, per garantirne l’allineamento a questo richiamo».

Presa di posizione dura e precisa che per Main First suona «la fine della festa per le commissioni di performance». Ma le sgr reagiranno aumentando le commissioni fisse, anche se dovranno darsi da fare per convincere i clienti che ciò è necessario. «In un contesto in cui la Mifid II dal 2017 introdurrà maggiore trasparenza sui prodotti finanziari, questi cambiamenti potranno incontrare la resistenza dei clienti e richiedere intensi sforzi da parte dei promotori e delle stesse reti», aggiunge Main First. Oggi le pratiche più comuni usate dai fondi esteri per definire le commissioni di performance possono prevedere un calcolo anche mensile ed escludere il benchmark. In Italia il calcolo è annuale e va legato al benchmark. Non stupisce quindi che, calcola Main First, per i fondi esteri delle sgr italiane quotate le commissioni di performance sono lo 0,4-0,5% degli asset gestiti, mentre per quelli di diritto italiano sono in media lo 0,05-0,1%. «I meccanismi attuali sono opachi, non equi per i sottoscrittori e non coerenti con le disposizioni Bankitalia», commenta Main First, per la quale ci sarà una riduzione a 10 punti base delle commissioni di performance e la differenza di 30-40 punti base sarà compensata da un costo fisso, come una commissione di servizio o di asset allocation, sulla falsariga di quanto fatto da Azimut e Mediolanum nel 2005 sui fondi di diritto italiano quando la Banca d’Italia nell’aprile di quell’anno introdusse una stretta su queste commissioni. La vicenda ha pesato sui titoli coinvolti e in quest’ambito a essere molto esposta al provvedimento Consob è Azimut. Main First evidenzia che il conto economico del gruppo guidato da Pietro Giuliani dipende molto dalle commissioni variabili, che nel primo trimestre 2015 hanno rappresentato il 75% dell’utile netto. (riproduzione riservata)