Per poter meglio comprendere le simulazioni della busta arancione è importante comprendere alla base quale sia il meccanismo del metodo di calcolo contributivo. Si tratta di un vero e proprio sistema di capitalizzazione virtuale che ritrae l’intera vita lavorativa del cittadino e non solo, come accadeva con il retributivo, solo la media delle ultime retribuzioni. Si effettua allora una vera e propria somma di contributi che dipendono dalla professione svolta (il lavoratore dipendente versa il 33% della retribuzione, l’autonomo il 22,6%, il parasubordinato il 27,72%) e dalla lunghezza e continuità della carriera. Andrà allora ponderato nel nuovo contratto a tutele crescenti l’effetto di periodi di flessibilità che potranno determinare periodi di mancanza di versamenti di contributi e questi gap si ripercuoteranno direttamente sull’importo della pensione di scorta. Ogni anno avviene poi la rivalutazione del montante contributivo in base alla media del Pil degli ultimi cinque anni (il recente intervento del Governo Renzi ha scongiurato che eventuali medie del Pil negative agiscano in decurtazione). Per avere un’idea di come un differente andamento economico si rifletta sulla prestazione previdenziale finale giova ricordare come nel Bilancio annuale dell’Inps del 2014 si rappresentava come il passaggio da una crescita di lungo periodo dello 0,5 a un tasso dell’1,5% (valore stimato per il Pil di lungo periodo) potrebbe comportare per un neo assunto un aumento della pensione obbligatoria attesa, calcolata con l’attuale contributivo, mediamente più elevata del 20% circa. Arrivati all’età pensionabile il montante contributivo viene convertito in rendita utilizzando gli specifici coefficienti di trasformazione previsti dalla normativa. Va sottolineato come sulla pensione contributiva si riflette l’evoluzione della piramide demografica dal momento che i coefficienti di trasformazione vengono rivisti automaticamente ogni tre anni e dal 2019, in applicazione della riforma Fornero, saranno sottoposti ad aggiornamento biennale. Va poi opportunamente ricordato come dal punto di vista demografico l’Italia sia un Paese particolarmente anziano. Secondo quanto evidenziato nell’Annuario statistico dell’Istat pubblicato a dicembre 2014 nel 2013 è proseguito infatti l’incremento della speranza di vita alla nascita, pari a 79,8 anni per i maschi (era 79,6 nel 2012) e 84,6 anni per le donne (era 84,4 anni nel 2012). Queste dinamiche, osserva l’Istat, rendono l’Italia uno dei Paesi più vecchi al mondo; il rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e quella con meno di 15 anni raggiunge il valore di 151,4%, in Europa secondo solo al valore della Germania (160%).