A Torino, Fiat Chrysler Automobiles e Case New Holland chiudono con i sindacati un contratto che lega i salari ai risultati: per gli 85 mila dipendenti italiani vale aumenti medi tra i 7 mila e i 10.700 euro nel periodo 2015-2018. A New York, nelle stesse ore, John Elkann parla nella sua doppia veste. Da presidente di Fca ribadisce, con il Wall Street Journal , l’interesse per General Motors: «Non l’abbiamo messa da parte. Non è l’unica opzione, ma non c’è dubbio che sia la migliore dal punto di vista della fattibilità». Da presidente di Exor, dunque della holding-cassaforte attraverso cui la famiglia controlla la stessa Fiat Chrysler, incontra invece gli azionisti di PartnerRe. Mette sul piatto un ulteriore miglioramento dell’offerta e, soprattutto, cerca di tessere le ultime, decisive alleanze nella guerra per la conquista del colosso delle riassicurazioni. Dicendo, alla fine di un meeting in cui si aspettava una settantina di soci e ne trova più del doppio: «È stato un buon incontro. La nostra proposta è superiore, tutta cash, certa, e senza rischi di fuga. Sono fiducioso nella nostra capacità di chiudere l’operazione». Senza altri rilanci, a parte alcuni ritocchi sostanziali presentati ieri: «L’offerta è finale e vincolante». È anche vicina, ormai, all’ultimo atto. Il che spiega la trasferta newyorchese. 
Quella in corso tra il Lingotto, Wall Street e le Bermuda — dove ha sede PartnerRe— non è solo la più importante delle partite avviate e gestite in proprio dal plenipotenziario di casa Agnelli. È, in assoluto, la più grossa mai giocata dalla famiglia in oltre un secolo di affari. I 6,8 miliardi di dollari in contanti messi sul piatto non erano però bastati a convincere il consiglio PartnerRe, impegnato a portare avanti una fusione con Axis che l’offerta italiana — «amichevole» per Torino, «ostile» per il board — avrebbe fatto e farebbe saltare. 
Ne è inevitabilmente seguita la più classica delle guerre azionarie. Ma se Exor pare avvantaggiata, grazie anche alla mossa che l’ha già trasformata nel primo socio della compagnia, nessuno può considerare chiusi i giochi. Non lo fa, infatti, Elkann. Guardando a una data-chiave: 24 luglio, quando l’assemblea voterà il merger con Axis. Se vincerà il sì, gli italiani dovranno lasciare le loro ambizioni. Se vincerà il no, ad andare a casa sarà il board e le porte di PartnerRe si apriranno al controllo di Torino. Perciò l’incontro organizzato ieri da Elkann, e gli ultimi miglioramenti proposti («Exor addolcisce l’offerta ostile», titolava il Financial Times online), può rivelarsi decisivo. Perché, davanti, il presidente del Lingotto aveva gli investitori che sceglieranno tra il progetto dell’aspirante azionista al 100% e i piani del vecchio management. 
In contemporanea, in Italia, più che a Exor si guardava a Fca. In parte per l’ennesima conferma delle «intenzioni di fusione» del gruppo guidato da Sergio Marchionne: vicina o no, con Gm o con qualcun altro, la Borsa apprezza e, prima che la Grecia tornasse a gelare i listini e costasse anche a Fiat Chrysler il 2%, il titolo viaggiava verso le migliori performance di tutta Piazza Affari. 
Qui siamo però ancora in terreno finanziario. Mentre è sindacale, la novità più concreta. I lavoratori dell’auto Fiat Chrysler avevano già firmato, e lo applicano da due mesi, il contratto collettivo di gruppo per il 2015-2018. Ieri si sono aggiunte il resto di Fca e l’intera Cnh. Ovviamente, alle identiche condizioni: stessi aumenti retributivi collegati a obiettivi di efficienza e redditività; stessa possibilità di estendere il «modello Melfi» di produzione a ciclo continuo, ossia su venti turni settimanali. Stessi schieramenti sindacali, anche: con la Fiom sempre autoesclusa dal tavolo cui siedono Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Quadri. 
Raffaella Polato

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