Legislazione

Qualcuno lo ha anche scritto, ma non è vero

Autore: Arrigo Nobile
ASSINEWS 257 – ottobre 2014

Premessa
L’art. 1899 del Codice Civile è vissuto immutato nella sua primigenia formulazione per oltre 65 anni, tempo intercorso fra il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262, da cui prese vita, e la sua prima modifica intervenuta con l’art. 5, comma 4, della Legge 2 aprile 2007, n. 40.
Originariamente la seconda parte del primo comma dell’art. 1899 recitava testualmente:
Se questa (n.d.r.: il riferimento è alla durata del contratto) supera i dieci anni le parti, trascorso il decennio e nonostante patto contrario, hanno facoltà di recedere dal contratto con preavviso di sei mesi, che può darsi anche mediante raccomandata CONTENUTO A PAGAMENTO
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Con il citato intervento normativo questa seconda parte del primo comma dell’art. 1899 venne così modificata: In caso di durata poliennale l’assicurato ha facoltà di recedere annualmente dal contratto senza oneri e con preavviso di sessanta giorni.

L’iniziativa di tale modifica venne attribuita all’allora Ministro dello Sviluppo Economico Pier Luigi Bersani, autore di varie liberalizzazioni in ambito economico, note sotto il nomignolo di lenzuolate. Ma la novella normativa ebbe breve durata. Sotto il successivo governo Berlusconi e precisamente con l’art. 21, comma 3, della Legge 23 luglio 2009, n. 99 la seconda parte del primo comma dell’art. 1899 subì un nuovo intervento normativo, mediante il quale il testo precedente venne abrogato e sostituito dal testo seguente, che è quello attualmente in vigore:
L’assicuratore, in alternativa ad una copertura di durata annuale, può proporre una copertura di durata poliennale a fronte di una riduzione del premio rispetto a quello previsto per la stessa copertura dal contratto annuale. In questo caso, se il contratto supera i cinque anni, l’assicurato, trascorso il quinquennio, ha facoltà di recedere dal contratto con preavviso di sessanta giorni e con effetto dalla fine dell’annualità nel corso della quale la facoltà di recesso è stata esercitata.

Cattivo lessico, cattiva sintassi e pessima norma
Va anzitutto osservato che questa modifica presenta improprietà lessicali ed errori sintattici inammissibili in un testo di legge.
Il termine “copertura” non solo non trova riscontro nella precedente terminologia giuridica, ma nel caso specifico appare impropriamente usato in sostituzione del termine “contratto”, nel cui la copertura della responsabilità civile postuma, che addirittura si prolunga oltre la durata del contratto.
Recita poi la norma: … se il contratto supera i cinque anni … . L’evento è difficilmente immaginabile, perché la possibilità di superare i cinque anni non è caratteristica assegnabile al contratto, bensì esclusivamente alla sua durata. Va poi detto che l’aver attribuito all’assicurato, come fa la disposizione, e non invece al contraente, che ne è l’unico titolare, la facoltà di recedere dal contratto, non rappresenta affatto un lapsus calami dell’estensore, ma una sua costante perseveranza nell’errore, in parte già evidenziata, ma che avrà ulteriori conferme.
Va, infatti, osservato che l’aver concesso all’assicuratore la possibilità di proporre all’assicurato in alternativa ad un contratto di durata annuale un contratto di durata poliennale a fronte di una riduzione del premio, per giunta percentualmente non determinata e in assenza di tariffe pubblicamente amministrate o quantomeno preventivamente rese pubbliche e quindi non verificabili, equivale ad una sorta di potenziale istituzionalizzazione del gioco delle tre carte, che non ha trovato fino ad oggi larga diffusione soltanto grazie alla fondamentale serietà del sistema della distribuzione assicurativa ed alla funzione svolta dalla libera concorrenza.
Ma, restando brevemente ancora sul tema dello sconto e della corrispondente durata poliennale del contratto, viene spontanea la domanda: se a proporre un contratto di durata poliennale, anziché l’assicuratore, è il contraente, conserva quest’ultimo la facoltà di rescindere il contratto di durata ultra quinquennale ed il diritto ad ottenere uno sconto sul premio?
Il tenore letterale della disposizione esclude di poter rispondere affermativamente alla domanda in quanto la circostanza che sia il contraente a proporre un contratto di durata ultra quinquennale è fattispecie diversa, priva di specifica disciplina e quindi lasciata alla libera determinazione delle parti contraenti. Ma ciò evidenzia che la norma è stata anche male formulata sotto il profilo precettivo, perché ben si poteva prescrivere la rescindibilità del contratto di durata ultra quinquennale e l’obbligo di applicare lo sconto sul premio ai contratti poliennali a prescindere dalla parte che ne propone la stipula.
E non si può omettere di segnalare che l’estensore della norma nell’apportare le descritte modifiche alla seconda parte dal primo comma dell’art. 1899 c.c. neppure si è accorto della necessità di intervenire, come corollario, sul dettato del secondo comma della stessa, il quale tuttora prevede che “il contratto può essere tacitamente prorogato una o più volte, ma ciascuna proroga tacita non può avere una durata superiore a due anni”. Orbene, qualora il contratto di assicurazione sia stato stipulato per una durata pari o superiore a cinque anni su proposta dell’assicuratore e contempli siffatta proroga biennale, essa non può essere opposta al contraente, stante la facoltà accordata esclusivamente a lui dalla seconda parte del primo comma di recedere annualmente, ma unicamente all’assicuratore, qualora sia il contraente ad averne interesse.

L’escludibilità della facoltà di recesso del contraente
Da qualche tempo a questa rivista era pervenuta notizia dell’esistenza di una lettera dell’ANIA diretta all’IVASS tendente ad ottenere in via interpretativa l’esclusione della previsione contemplata dalla seconda parte del primo comma dell’art 1899 c.c. per tutti quei contratti che “per espressa previsione di legge o per esplicita richiesta dell’assicurato o per necessità di garantire nel tempo l’interesse di un soggetto terzo … sono, per così dire, naturalmente pluriennali” e, quindi, sotto il profilo tariffario, non consentono di poter offrire al contraente la scelta fra soluzioni tariffarie alternative collegate a diverse durate contrattuali.
L’Associazione delle imprese di assicurazione aveva citato a titolo esemplificativo le polizze assicuranti la responsabilità decennale postuma del costruttore, le polizze di vari rami richieste dalle pubbliche stazioni appaltanti, le polizze credito e cauzioni, le polizze abbinate a mutui e ad altri finanziamenti, le polizze danni contro le malattie gravi (Dread Disease) e contro il rischio di non autosufficienza (Long Term Care), ecc..
Copia di questa lettera recante la data del 20 febbraio 2014 e la firma del direttore generale ambito vi possono essere anche più coperture assicurative ed avere esse durate diverse da quella del contratto, come ad esempio dell’ANIA dott. Dario Focarelli e copia della lettera di risposta dell’IVASS recante la data del 27 febbraio 2014 e la firma del consigliere prof. Riccardo Cesari dopo varie peregrinazioni sono giunte anche alla sede di questa rivista. La lettera dell’IVASS, dopo aver ribadito concetti già espressi nella lettera al mercato del 5 novembre 2013 (quest’ultima consultabile sul sito dell’Istituto), ha escluso la possibilità di poter prendere in considerazione le osservazioni dell’ANIA, non essendo ciò consentito dal perimetro di applicazione definito dalla stessa norma di legge ed ha riaffermato nel contempo in capo alle singole imprese la responsabilità della corretta applicazione della norma.
Francamente il contenuto di entrambe le lettere non ha mancato di sorprendere, perché entrambe rivelano un essenziale omesso approfondimento preventivo circa l’effettiva portata precettiva della seconda parte del primo comma dell’art. 1899 c.c., ma, ad esimente degli estensori di codeste lettere va detto che tale valutazione è mancata prioritariamente a chi ha redatto il testo della norma.
Il primo comma dell’art. 1899 c.c., comprensivo della sua vigente seconda parte, non figura infatti fra le norme inderogabili se non in senso più favorevole all’assicurato indicate all’art. 1932 c.c.. Esso ha quindi esclusivamente natura dispositiva e, pertanto, può essere liberamente derogato per volontà delle parti contraenti. In altre parole la disposizione in esame, proprio per la sua derogabilità, non risulta affatto coartata da alcun perimetro di applicazione.

La durata ultra quinquennale non rescindibile del contratto
Ne consegue che le parti possono liberamente stipulare, in deroga alla seconda parte del primo comma dell’art. 1899 c.c., contratti poliennali di durata ultra quinquennale, che escludano la facoltà di recesso di entrambi i contraenti e persino non contemplino sconto alcuno sul premio correlato alla durata dell’assicurazione, benché a proporli sia l’assicuratore.
Ma, se a proporre la durata ultra quinquennale del contratto non è l’assicuratore, tale fattispecie non è nemmeno disciplinata e, quindi, non comporta neppure la necessità di deroga alcuna.
Occorre soltanto verificare se vi sono limitazioni alle accennate libertà contrattuali derivanti da altre norme e precisamente da quelle dettate dal Codice Civile in tema di contratti per adesione e da quelle dettate dal Codice del Consumo a tutela del privato consumatore.
La condizione che stabilisca una durata del contratto superiore agli anni cinque e contemporaneamente escluda la facoltà di recesso di entrambe le parti contraenti non risulta vessatoria ai sensi dell’art. 1341, comma 2, del Codice Civile in quanto ivi una tale condizione non è contemplata, mentre è vessatoria se il recesso è esercitabile soltanto da chi ha predisposto le condizioni generali del contratto. Va peraltro detto che, secondo giurisprudenza, è considerata vessatoria, anche se prevista per entrambe le parti contraenti, la facoltà di recesso in caso di sinistro, in quanto essa, malgrado la reciprocità, avvantaggia prevalentemente l’assicuratore, consentendogli di liberarsi di un assicurato poco appetibile e danneggia quest’ultimo, che spesso incontra difficoltà a trovare un nuovo assicuratore.
Per concludere va detto che il contratto per adesione può contenere anche condizioni vessatorie nei confronti di chi non ha predisposto le relative condizioni generali, a patto che costui le abbia approvate per iscritto.
Se, invece, a proporre la stipula di un contratto di assicurazione poliennale è il contraente e non l’assicuratore, come già osservato ciò esula totalmente dalla previsione contemplata dalla seconda parte del primo comma dell’art. 1899 c.c. e, pertanto, le parti sono libere di adottare l’assetto contrattuale ritenuto reciprocamente più confacente per quanto attiene la durata poliennale, l’esclusione della rescindibilità ed il riconoscimento o meno di uno sconto sul premio, ferma restando la disciplina sul contratto per adesione, se questa è la modalità attraverso la quale le parti pervengono alla conclusione del contratto.
Codesta libertà potrebbe eventualmente incontrare altre limitazioni, se il contraente della polizza poliennale è un privato consumatore e ciò ai sensi del Codice del consumo (D. Lgs. 06.09.2005, n. 206 e successive modificazioni e/o integrazioni).

Tralasciando le clausole considerate nulle in quanto vessatorie in assoluto e non aventi attinenza con il tema in esame, vengono in considerazione ai sensi dell’art. 33 del Codice del consumo le clausole, che malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (comma 1) e le clausole presunte vessatorie iuris tantum elencate al comma 2.
Nel primo caso spetta al privato consumatore nella sua veste di contraente dell’assicurazione fornire la prova che la clausola ha determinato un significativo squilibrio in suo danno dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, prova tanto più difficile da fornire, se è stato egli stesso a proporre la durata poliennale del contratto e se per effetto del vincolo pluriennale ha ottenuto uno sconto apprezzabile sul premio.
Nel secondo caso spetta al professionista nella sua veste di assicuratore fornire la prova del carattere non vessatorio della clausola, ma eventualmente a soccorrerlo è lo stesso comma 2 dell’art. 33, che non prevede fra le clausole potenzialmente vessatorie da esso elencate la durata poliennale non rescindibile del contratto, se convenuta per entrambe le parti.
Va soggiunto che ai sensi dell’art. 34, comma 4, non sono comunque considerate vessatorie le clausole che siano state oggetto di trattativa individuale, mentre il successivo comma 5 stabilisce che nei contratti per adesione predisposti dal professionista (dall’assicuratore) incombe a costui dimostrare che le clausole o un elemento di esse sono state oggetto di trattativa individuale, prova non necessaria se il contratto già contempla esplicita dichiarazione confirmatoria del consumatore dell’intervenuta trattativa.

Conclusioni
Difficilmente nella lunga storia della legislazione italiana è riscontrabile una norma di pari estensione che contenga un coacervo di errori lessicali, sintattici e di ordine precettivo pari a quello rinvenibile nella vigente seconda parte del primo comma dell’art. 1899 c.c.. Scivolare sulle norme è fatto non infrequente in chi le redige, in chi le commenta e in chi è preposto ad applicarle o a farle applicare. Perciò la critica, quando necessaria, deve essere comprensiva e tollerante. Ma in questo caso …?
E quale novità hanno introdotto nell’ordinamento i due interventi del legislatore, quello del 2007 e quello del 2009 sulla seconda parte del primo comma dell’art. 1899 del Codice Civile, rispetto all’originaria formulazione del 1942 della stessa disposizione? Pressoché nessuna novità, perché la sua derogabilità esisteva già allora e vige tuttora.
Dunque gli interventi normativi sono stati del tutto inutili. Quando entrarono in vigore, si fa per dire vista la loro inutilità, diedero luogo solo a discussioni interpretative circa la rescindibilità dei contratti poliennali in essere, ma anche in questo caso perché non si fece attenzione al valore meramente dispositivo e non cogente delle due novelle. Insomma, esse hanno solo disturbato il mercato.
Correva l’anno 2001 quando il prof. avv. Carlo Malinconico, insigne giurista ed a quel tempo capo del dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel presentare una sua guida alla redazione dei testi normativi diretta ai vari settori della pubblica amministrazione preposti per singola competenza alla redazione ed al controllo degli emanandi testi normativi, testualmente scriveva: La norma giuridica non è neutra, ma anzi orienta la dislocazione di risorse materiali ed umane. Essa è quindi parametro di efficienza o di inefficienza del sistema economico e sociale. Le regole non sono di per sé troppe o poche in termini assoluti. Sono troppe le regole cattive, e sono tali quelle che costituiscono onere ingiustificato per cittadini ed imprese. Come quei rimedi che, nell’intento di curare un male, ne provocano di nuovi e maggiori o comunque generano gravi effetti collaterali.

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