di Roberta Castellarin

Con l’intesa per l’acquisizione delle attività di private banking del Credit Suisse Italia, Banca Generali scalerà le classifiche delle banche private tricolore, arrivando probabilmente entro fine anno al terzo posto alle spalle dei due colossi, Unicredit pb, e Intesa Sanpaolo Private Banking.
L’operazione si realizzerà attraverso il trasferimento di un ramo di azienda comprensivo dei contratti di circa 60 banker di Credit Suisse Italy, cui sono riconducibili a oggi masse in gestione per oltre 2 miliardi euro, numeri che rappresentano circa il 7% delle masse gestite da Banca Generali a fine giugno. È un nuovo passo avanti nella strategia che mira sempre più a consulenti con corposi portafogli (la rete già è al primo posto della classifica per portafoglio pro capite, con una media superiore ai 20 milioni di euro). D’altronde il mercato potenziale fa gola. In base alle stime Aipb Prometeia le attività finanziare delle famiglie con portafogli superiori a 500 mila euro ammontano a 935 miliardi, ma solo la metà è affidata al private banking. Lo ha spiegato a MF-Milano Finanza Piermario Motta, amministratore delegato di Banca Generali.

Domanda. Con questa acquisizione diventate la prima private bank quotata per dimensione. Si conferma quindi il vostro obiettivo di puntare sempre più su questo settore?

Risposta. Questa operazione ci consente di acquisire 60 professionisti di esperienza con un portafoglio medio di 35 milioni di euro e di far crescere le nostre masse, dal mese di novembre, del 7%. Ma è anche la dimostrazione che Credit Suisse, per cedere parte del private banking in modo da concentrarsi sulla fascia più alta del mercato, si è rivolta a noi perché siamo un interlocutore che ha acquisito un nome in questi 10 anni di attività. Ed è anche una conferma della nostra fiducia nell’Italia.

 

D. Continuerete quindi anche con i reclutamenti?

R. Sì, da inizio anno abbiamo già reclutato oltre 50 nuovi banker ma continueremo a cercare singoli consulenti e a guardare strutture potenzialmente sinergiche con noi. D’altronde le famiglie italiane hanno 3,5 mila miliardi investiti in attività finanziarie. Siamo il quinto Paese al mondo per ricchezza pro-capite per cui è qui che bisogna investire perché non c’è mai stato un momento tanto favorevole per la promozione finanziaria.

D. La debolezza delle banche vi ha lasciato campo libero. Le reti continueranno ad approfittarne?

R. Sì, noi ci siamo mossi da anni verso la consulenza e qualità dell’offerta, mentre le banche ora fanno fatica a farci concorrenza. Alle prese con altre priorità come la riduzione delle filiali e con il passaggio verso l’home banking, perdono sempre più il contatto diretto con la clientela. E per noi si aprono due fronti di crescita.

D. In termini di reclutamento e di raccolta?

R. Sì, esattamente, mai come ora ci sono molti bancari di esperienza pronti a passare alla libera professione e noi siamo pronti ad accoglierli. Ma non solo, anche i clienti alle prese con un mercato più difficile da interpretare, con i rendimenti bassi dei titoli di Stato, sono alla ricerca di una consulenza evoluta che noi abbiamo sviluppato in questi anni.

D. Dal punto di vista dell’offerta in pochi mesi la polizza multi ramo Bg Stile Libero ha raccolto oltre 700 milioni di euro. Le polizze, che offrono vantaggi di ottimizzazione fiscale, continueranno ad avere sempre più spazio?

R. Credo di sì, una polizza come Stile Libero dà al cliente la possibilità di passare dalle garanzie della gestione separata a un portafoglio diversificato di fondi con tutti i servizi e i vantaggi fiscali dei prodotti multi ramo di nuova generazione. In questi anni abbiamo sempre guardato anche a quanto veniva offerto sui mercati anglosassoni, in modo da portare in Italia i prodotti più interessanti e soluzioni innovative, come sottostanti di polizze assicurative, che hanno dei vantaggi unici.

D. Tornando all’industria, diversi grandi marchi internazionali hanno ridotto la loro presenza in Italia, come mai?

R. Nel private banking dovrà continuare il processo di concentrazione perché bisogna avere almeno 10-15 miliardi di asset per arrivare a break-even. È un’attività che richiede comunque ingenti investimenti anche sul territorio e in tecnologia, per cui i grandi attori continueranno ad attrarre le realtà troppo piccole per crescere in autonomia. (riproduzione riservata)