L’integrazione tra il servizio sanitario pubblico e privato non è più un tabù. Dopo l’intesa siglata lo scorso 10 luglio tra il governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul Patto della salute per gli anni 2014-2016 che ridisegna la spesa e la programmazione del Servizio sanitario nazionale, il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, è pronta a mettere mano già dal prossimo autunno a una riforma dell’assistenza sanitaria integrativa, che rappresenta un «pilastro importante nella riorganizzazione del sistema sanitario». «Dopo i costi standard e il Patto per la salute già realizzati», ha affermato il ministro, il prossimo passo da compiere è organizzare «la sanità integrativa, sia con i fondi, sia con le assicurazioni, in modo tale da creare una complementarietà anche per quanto riguarda il settore pubblico». La strada verso l’integrazione pubblico-privato è segnata dagli ultimi dati sulla spesa sanitaria delle famiglie, che nell’ultimo anno è scesa del 5,7% con un valore pro-capite che si è ridotto da 491 a 458 euro all’anno, come rivela una recente indagine pubblicata dal Censis. L’effetto della crisi, dunque, incide pesantemente sul budget delle famiglie che nel 2013 hanno dovuto rinunciare a quasi 7 milioni di prestazioni mediche private per un valore di circa 27 miliardi di euro. Si tratta di una pericolosa inversione di tendenza che rischia di avere pesanti contraccolpi sul welfare pubblico, poiché la spesa sanitaria delle famiglie non arriva più a compensare quella dello Stato. E in prospettiva il fenomeno rischia di allargarsi a macchia d’olio. Secondo il rapporto del Censis «negli anni a venire l’incremento della domanda di sanità e di assistenza proseguirà a ritmi serrati. Una domanda che l’offerta pubblica però non potrà soddisfare. C’è già oggi una domanda inevasa di cure e di assistenza a cui il sistema pubblico non riesce a far fronte», sostiene il Censis che sottolinea come «integrare pubblico e privato diviene un’opportunità rilevante, per compensare una domanda cui la sola sfera pubblica non è più in grado di far fronte». L’Italia resta una delle poche economie avanzate in cui la spesa sanitaria out of pocket (la spesa di tasca propria delle famiglie) intermediata, ovvero gestita attraverso assicurazioni integrative o strumenti simili, si ferma a una quota molto bassa: appena il 13,4% del totale della spesa sanitaria privata a fronte del 43% della Germania, del 65,8% della Francia, del 76,1% degli Stati Uniti. La presenza di operatori privati specializzati e qualificati sia nel campo delle prestazioni sanitarie che dell’assistenza, con servizi resi accessibili attraverso strumenti assicurativi integrativi, permette di fornire servizi più adeguati. Di fronte a questo scenario, il mondo dei fondi sanitari integrativi è in fermento. In Italia operano complessivamente 276 fondi sanitari integrativi con quasi 6 milioni di iscritti, e tutti attendono una svolta legislativa. È emerso chiaramente nel recente convegno «Previdenza complementare e welfare integrativo in Italia», organizzato a Milano da Itinerari previdenziali, che ha sottolineato la necessità per il settore dell’assistenza sanitaria integrativa e delle assicurazioni di dotarsi di un quadro normativo sul cosiddetto welfare mix chiaro e compiuto che possa condurre a una piena integrazione tra pubblico e privato. E i fondi sanitari integrativi, in particolare quelli di matrice contrattuale, possono rappresentare il primo punto di contatto con il servizio pubblico.