di Debora Alberici  

 

D’ora in avanti sarà molto più difficile ottenere il risarcimento per le violazioni legate alla privacy. Infatti il titolare dei dati sensibili illegittimamente trattati non ha diritto al ristoro automaticamente ma dovrà provare l’effettivo pregiudizio sofferto. Ciò tanto per i danni patrimoniali tanto per quelli morali.

Insomma, afferma la Cassazione con la sentenza n. 15240 del 3 luglio 2014, il pregiudizio non è in re ipsa e andrà di volta in volta provato dal titolare del dato sensibile.

La motivazione potrà apparire a molti una ulteriore limitazione della privacy.

Ad altri, invece, uno stop alle speculazioni di quanti intentano cause numerose quando effettivamente, nonostante il comportamento illegittimo di chi tratta le informazioni, il danno non si è effettivamente prodotto.

In altre parole per la terza sezione civile la lesione del diritto alla riservatezza determina un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. al quale, tuttavia, non consegue un’automatica risarcibilità, dovendo il pregiudizio morale o patrimoniale essere comunque provato secondo le regole ordinarie, quale ne sia l’entità e a prescindere anche dalla difficoltà della relativa prova. Il che, tra l’altro, è del tutto logico, trattandosi di un danno-conseguenza e non di un danno-evento.

Ma non solo. Per i giudici del Palazzaccio non potrebbe giungersi a diversa conclusione neppure se si identificasse il danno in questione in termini di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti, poiché la fondamentale sentenza 26972/2008, delle Sezioni Unite, nell’ammettere la risarcibilità della lesione di siffatti diritti e nel tracciarne rigorosamente i confini, ha contestualmente riconosciuto che l’esistenza del relativo danno deve comunque essere provata dal danneggiato.

Ha perso la causa e non avrà nulla dal ministero della giustizia la titolare di un dato sensibile concernente la salute che lamentava il trattamento illegittimo dello stesso da parte del dicastero.

Insomma, legittimo o no il trattamento, senza la dimostrazione di qual è stato il patimento morale o patrimoniale il cittadino non ottiene proprio nulla.

La decisione non mette tutti d’accordo neppure all’interno del Palazzaccio: la Procura è difforme.

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