di Carlo Giuro

Uno dei messaggi che provengono dalla Relazione annuale della Covip è rappresentato dalla opportunità di esaltare la struttura di un sistema previdenziale con un assetto multi pilastro. In alcuni Paesi dell’Europa centrale (in particolare Ungheria e Polonia), infatti, che avevano sperimentato la devoluzione di una quota della contribuzione obbligatoria ai piani privati sono stati adottati provvedimenti che, in tutto o in parte, hanno riportato il sistema nell’alveo della sola componente pubblica. Tali interventi se, da un lato, alleviano le condizioni dei bilanci pubblici nel breve periodo, dall’altro incrementano però la spesa nel lungo periodo, con il rischio di riflettersi in una più bassa prestazione finale. Va allora affiancato alla pensione obbligatoria il pilastro complementare in maniera tale da rafforzare la solidità complessiva della promessa pensionistica irrobustendone la prestazione finale e attenuandone l’esposizione ai rischi grazie alla diversificazione. Il discorso è ancora più valido in un Paese come l’Italia in cui la pensione pubblica assume anche il rischio legato all’andamento dell’economia italiana. Nel metodo di calcolo contributivo infatti i i contributi versati si rivalutano in base alla media mobile quinquennale della variazione nominale del prodotto interno lordo (pil). Secondo i dati esplicitati dalla Covip nel periodo 2008-2013 il pil si è contratto del 9% in termini reali con una ripercussione consistente sulla rata che verrà corrisposta ai futuri pensionati contributivi. Occorre però rafforzare il ruolo della previdenza complementare ancora troppo esile rispetto alla penetrazione auspicabile. Tra le possibili exit strategy suggerite c’è quella di una ripresa del silenzio-assenso (automatic enrolment) ancora in vigore per i nuovi assunti dal 1° gennaio 2007 il cui obiettivo è quello di favorire l’irrobustimento delle fonti di finanziamento della previdenza complementare favorendone un incremento delle adesioni. L’apporto fornito dal meccanismo delle adesioni tacite nel nostro Paese è risultato però marginale, circa 12.400 nuove iscrizioni, dirette per la maggior parte verso i fondi negoziali (10 mila, poco meno di un quinto delle nuove adesioni a tali forme) e in misura residuale ai fondi aperti e a quelli preesistenti; in Fondinps sono confluiti circa 1.200 nuovi iscritti. Dal 2007, anno di avvio della riforma, i lavoratori che hanno aderito sulla base del conferimento tacito del Tfr sono risultati circa 231 mila, l’8% del totale dei nuovi iscritti dipendenti del settore privato. La Covip suggerisce allora di guardare oltreconfine, con particolare riferimento all’esperienza inglese; dove l’applicazione su scala nazionale dell’adesione generalizzata sta gradualmente portando all’iscrizione alla previdenza privata di un numero significativo di lavoratori. Andando a una disamina più approfondita, nel Regno Unito, in presenza di pensioni pubbliche di base di ammontare modesto e scarsamente correlate al reddito percepito prima del pensionamento, già nell’ottobre del 2012 è divenuto operativo il programma nazionale di adesione automatica ai piani pensionistici complementari, con l’obiettivo di incrementare la partecipazione dei lavoratori al secondo pilastro previdenziale estendendo la copertura a ulteriori 8 milioni di lavoratori. Le categorie di lavoratori interessati sono costituite dai dipendenti pubblici e privati con un età compresa tra 22 anni e quella prevista per il pensionamento e non iscritti a un piano pensionistico considerato idoneo. Il meccanismo non opera per coloro che percepiscono un salario inferiore a 9.440 sterline annue nel 2013-14 (soglia rivista annualmente), per i lavoratori autonomi e per i membri delle forze armate. Il programma sta interessando una platea sempre più estesa di lavoratori, per scaglioni definiti in base alla dimensione delle imprese di riferimento. Il lavoratore iscritto automaticamente ha diritto di uscire dalla forma pensionistica (opting out). In questo caso, il datore di lavoro dovrà ripetere la procedura di adesione automatica ogni tre anni. I lavoratori che finora si sono avvalsi dell’opting out sono stati molto pochi, circa il 9% del totale. In molti Paesi dell’America latina e dell’Europa centrale e orientale, oltre che in paesi quali la Svezia sono stati poi introdotti meccanismi di natura previdenziale a natura obbligatoria. (riproduzione riservata)