Pagina a cura di Luigi dell’Olio  

 

A voler guardare il bicchiere mezzo pieno, c’è da constatare che le piccole e medie imprese che hanno retto alla crisi oggi sono tendenzialmente più solide. A volerlo vedere mezzo vuoto va sottolineato che in sei anni sono sparite 8.841 imprese, con 405 mila posti di lavoro persi per un valore di circa 120 miliardi di euro andati in fumo. L’Osservatorio sulla competitività delle pmi di Sda Bocconi ha provato a far luce sugli effetti che la lunga fase recessiva ha prodotto sul nostro tessuto imprenditoriale. Per poi provare a tracciare lo scenario che ci attende per i prossimi trimestri.

Il campo di analisi. I ricercatori hanno analizzato i bilanci delle 56 mila aziende della Penisola che nel 2007 registravano un fatturato tra i 5 e i 50 milioni di euro, metà delle quali collocate tra Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Quindi non sono state esaminate le realtà più piccole perché considerate per loro natura più fragili. Nonostante questo campo di indagine ridotto, la mortalità è stata elevatissima. Ben il 15,9% (8.841 aziende) ha chiuso i battenti, entro il 2013 nella maggior parte dei casi, abbandonando del tutto il mercato a causa di fallimento o messa in liquidazione. Ma va considerata anche una piccola quota che è stata incorporata in altre realtà in seguito ad acquisizioni o riorganizzazioni a livello di gruppo. Per lo più si è trattato di aziende con una breve storia alle spalle. Le Pmi tra 5 e 50 milioni di fatturato, pur costituendo solo il 6,1% delle imprese italiane, producono il 39% del pil e occupano 2,29 milioni di persone.

Tra le aziende che hanno superato la lunga recessione, sono evidenti alcune criticità sul fronte finanziario. Per esempio, il rapporto tra posizione finanziaria netta ed ebitda mostra che le imprese con un’ottima capacità di ripagare il debito (rapporto inferiore a 1,5) sono scese dal 26,7% al 21,3% nell’arco di soli sei anni, mentre quelle in difficoltà finanziaria (rapporto superiore a 7,5) sono cresciute dal 17,1 al 26,3%. Il periodo di pay-back del debito si è allungato di circa un anno e mezzo e, dopo una riduzione del rapporto debiti/patrimonio netto di mezzo punto (da 2,9 a 2,5) tra il 2007 e il 2008, l’indicatore non si è più mosso in modo significativo, rimanendo su livelli elevati.

Cresce il giro d’affari, ma il debito fa paura. In realtà, lo stato di salute delle aziende sopravvissute è migliorato da un punto di vista complessivo, con il giro d’affari che ha fatto segnare un +26% tra il 2007 e la fine del 2012, ovvero l’equivalente di una crescita media del 4,8% l’anno, e una sola battuta d’arresto nel 2009 (-5,3%), ma con un 2012 piuttosto debole, caratterizzato da una crescita media dell’1,6% e da una metà della popolazione con crescita negativa. Le pmi con una proprietà molto concentrata sono quelle che hanno mostrato i tassi di crescita del fatturato più elevati in tutto il periodo analizzato.

Inoltre, il confronto tra questo studio e l’Osservatorio Aub (che considera il fatturato di tutte le aziende familiari con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro) mette in luce una maggiore capacità di ripresa nel 2012 per le pmi.

L’anno più duro è stato il 2009 (il 61,5% delle aziende ha registrato una performance negativa sul fronte della crescita), seguito poi da un triennio positivo per la maggior parte delle aziende.

Va comunque detto che nel 2012, per la prima volta, le pmi hanno ridotto gli investimenti, nel tentativo di far calare il debito bancario. Per ogni euro di capitale proprio, 2,4 euro vengono forniti da terzi. Se l’intero flusso di cassa generato dall’azienda (approssimato dall’ebitda) venisse utilizzato per ripagare il debito, sarebbero necessari 6,5 anni per estinguerlo interamente.

L’incidenza degli oneri finanziari, in compenso, è progressivamente diminuita con la riduzione dei tassi d’interesse. Un andamento che può apparire paradossale, dato che la situazione attuale dovrebbe incentivare gli imprenditori a indebitarsi maggiormente per crescere.

Ovviamente la considerazione viene meno se il clima diffuso è di pessimismo su quanto potrà accadere d’ora in avanti. Sulla riduzione del debito pesa anche il fatto che nella Penisola i tassi sono scesi meno di altri paesi, come rivelato da un rapporto dell’Ocse pubblicati nei giorni scorsi.

Un dato positivo è relativo al ritorno sull’investimento, che si attesta su una media del 7,6% annuo, a dimostrazione della capacità dell’imprenditoria italiana, con le generalizzazioni inevitabili quando si considerano dati di sintesi, di muoversi pur in un contesto difficile. Le stesse considerazioni si ricavano guardando alla performance del roe, risultato mediamente negativo nel 2011-2013, ma ampiamente positivo (nella misura del 9,4%) nel periodo 2007-2012.

Le mille eccellenze. La ricerca individua, poi, 1.165 piccole e medie imprese (il 2,5% della popolazione) più forti di ogni avversità. Sono le aziende di successo che hanno registrato un tasso di crescita positivo e un roi doppio rispetto alla media delle società analizzate. Per lo più si tratta di aziende situate nel Nord Italia, con quattro regioni davanti alle altre, vale a dire Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria. Si tratta mediamente di aziende con dimensioni superiori alla media e una storia più lunga alle spalle. I settori più rappresentati tra le pmi di successo sono il commercio all’ingrosso e il manifatturiero (meccanica, alimentari e bevande e chimico-farmaceutico in testa).

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