di Anna Messia

C’è una falla nel sistema assicurativo, sconosciuta finora ai più? Leggendo i documenti del Tribunale di Torino che nei giorni scorsi ha deciso l’arresto dell’intera famiglia Ligresti e degli ex vertici FonSai (ora passata al gruppo Unipol) appaiono particolari piuttosto inquietanti su una leva che i manager di una compagnia di assicurazione potrebbero alzare o abbassare a loro piacimento, al fine di aumentare o ridurre l’utile a seconda delle necessità.

Se c’è bisogno di far emergere un bel risultato netto per staccare un buon dividendo (quello che nel caso FonSai, secondo la Procura, serviva all’azionista Premafin) basta ridurre la riserva sinistri. Il tastino magico che, se attivato, può svuotare rapidamente le casse della compagnia (di ben 538 mln nel caso di FonSai, sempre secondo gli inquirenti), a danno di azionisti e assicurati.

Possibile che mentre si lavora a Solvency II per aumentare la capitalizzazione sia sfuggito questo particolare?

 

Cos’è, in dettaglio, la riserva sinistri? «Sono le somme, che le assicurazioni devono iscrivere a bilancio alla fine di ogni esercizio, necessarie a far fronte ai pagamenti di sinistri relativi a quello stesso esercizio e di quelli di esercizi precedenti non ancora pagati». spiega Claudio Cacciamani, ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Parma, responsabile del laboratorio di ricerca sulle assicurazioni e gestione dei rischi. Riserva che, secondo la legge che disciplina il settore (il Codice delle Assicurazioni), va calcolata in virtù di una prudente valutazione effettuata in base a elementi obiettivi, in particolare prendendo a riferimento il «costo ultimo», che tenga conto di «tutti i futuri oneri prevedibili sulla base di dati storici e prospetti affidabili e comunque delle caratteristiche specifiche dell’impresa». Almeno sulla carta, insomma, i presidi sembrano numerosi ma poi, nel concreto e nella lunga catena che porta alla determinazione finale della riserva (dai liquidatori, che stimano i danni sul territorio, agli attuari e ai vertici dell’impresa) gli elementi di aleatorietà non mancano. Del resto per «uno stesso sinistro» non è raro che due imprese che operano in coassicurazione decidano di accantonare a riserva una cifra differente», aggiunge Cacciamani. Insomma, a ben vedere, se qualche compagnia decidesse di raschiare il fondo del barile per evitare magari aumenti di capitale, potrebbe avere in effetti qualche spazio di manovra. Ma ci sono almeno due elementi che possono far stare tranquilli azionisti e assicurati. «Il gioco (sempre che le autorità di controllo facciano la loro parte, ndr) non potrebbe andare avanti per troppo tempo», spiega Cacciamani, «a breve quei sinistri dovranno essere effettivamente pagati e il tentativo dell’impresa di accantonare meno del necessario sarebbe subito scoperto». Anche se, come insegna sempre il caso FonSai, bisogna stare attenti ad altri trucchetti, come quello di chiudere prima del tempo i sinistri (senza dover accantonare riserve) per poi essere costretti a riaprirli l’anno successivo (senza coperture messe da parte). Ma c’è anche un altro elemento positivo: guardando l’intero sistema assicurativo italiano, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio coordinato da Cacciamani, emerge che dal 2010 al 2012 i sinistri effettivamente pagati rispetto alle riserve accantonate sono diminuiti. Come dire che il sistema delle riserve sembra tenere. (riproduzione riservata)