di Roberta Castellarin

A settembre si aprirà un nuovo capitolo della riforma delle pensioni, un cantiere che in Italia sembra essere sempre aperto. E che finisce con il destabilizzare i lavoratori che preferiscono sapere come finirà la storia prima di preoccuparsi di avviare un piano per integrare l’assegno pubblico.

Una strategia che a lungo andare si può rivelare rischiosa. Più si aspetta ad avviare una pensione di scorta, più aumenta l’importo che si dovrà versare per raggiungere l’obiettivo. Non solo; un investimento a fini previdenziali risulta più efficiente in un orizzonte temporale lungo soprattutto se si vuole puntare su portafogli diversificati tra bond e azioni. Il trading infatti può rivelarsi troppo rischioso soprattutto se in ballo ci sono risparmi che devono garantire una rendita al momento della pensione. Inseguire i rally di mercato è un esercizio pericoloso che non porta molto lontano. «Nemmeno gli esperti sanno prevedere che cosa accadrà. E la maggioranza dei guadagni in borsa si realizza soltanto in qualche breve periodo di rally imprevedibile. Per massimizzare la performance dell’investimento bisogna essere nel mercato in questi momenti di rally», avvertono infatti dal colosso statunitense Fidelity.

 

A dimostrarlo sono i numeri: chi avesse effettuato dieci anni fa un investimento indicizzato all’indice azionario europeo avrebbe realizzato una performance media del 3,3%%.

Ma sarebbe andata molto diversamente se, invece della costanza, avesse prevalso la voglia di azzeccare il giusto market timing. Infatti, chi avesse perso in questi dieci anni i migliori dieci giorni di borsa avrebbe realizzato una perdita del 1,3%. Che sarebbe diventata del 4,5% se si fossero persi i migliori 20. E addirittura del -7% se si fossero persi i migliori 30 giorni. E così via. Con la crisi di Lehman, quella dei debiti sovrani europei e con tutte le vicende di questi dieci anni, la tentazione di uscire dalla borsa è stata forte. Ma sarebbe stato sufficiente perdere i migliori 40 giorni di borsa che si sono verificati in questi dieci anni affinché la performance media annua diventi del -9,2%. Ma se è impossibile azzeccare il momento giusto per entrare e uscire dalla borsa, quale è la corretta tecnica da utilizzare? «La migliore strategia è quella di investire piccole somme ogni mese od ogni trimestre in borsa perché in questo modo si media il costo di acquisto. Quando i prezzi sono bassi si acquistano più titoli, quando le quotazioni sono alte meno. E in un’ottica di medio periodo questo si traduce in un prezzo medio di acquisto delle azioni più basso di quello che si otterrebbe con un investimento unico», rispondono da Fidelity. E questa è proprio la formula su cui sono basati i fondi pensione che prevedono un versamento mensile costante nel tempo. Versamento che deve essere adeguato a integrare ragionevolmente la pensione pubblica. Che con il metodo contributivo non potrà essere particolarmente generosa.

Come dimostrano le simulazioni effettuate dalla società di consulenza indipendente Progetica. Un lavoratore dipendente di 30 anni che guadagna 2 mila euro al mese potrà andare in pensione con un assegno nella migliore delle ipotesi di 1.614 euro e nella peggiore di 1.072 euro. Un intervallo notevole che fa capire quanto il sistema contributivo renda difficile individuare quale assegno aspettarsi. Questa simulazione fa toccare con mano il fatto che con il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo (introdotto per tutti dalla riforma Monti-Fornero) non è più possibile calcolare con certezza né quando si andrà in pensione né quanto si potrà portare a casa. Il quando dipende dall’evoluzione della speranza di vita, mentre la rendita è determinata in base a un insieme di variabili. A partire dall’andamento dell’economia. Uno studio del fondo pensione negoziale Fondenergia ha calcolato che per ogni punto percentuale di variazione del pil il tasso di sostituzione del primo pilastro (ovvero la percentuale dell’ultimo stipendio che si percepirà come pensione) cambia in media di 8 punti percentuali. Questo legame tra futuro assegno pensionistico e sviluppo economico è dovuto al fatto che il sistema lega il rendimento dei contributi versati proprio all’incremento del pil. La bassa crescita economica ha poi anche un effetto sugli stipendi, che restano al palo e quindi cristallizzano i contributi versati.

 

Ma altri nemici minacciano il futuro assegno Inps. Per ogni anno di posticipo dell’inizio del lavoro il tasso di sostituzione lordo scende di due punti percentuali. E lo stesso accade in caso di buchi contributivi. Con un mercato del lavoro dove è sempre più difficile ottenere un contratto a tempo indeterminato e con una lunga fase di precariato in carriera c’è da chiedersi quanti saranno i fortunati che potranno contare su un assegno adeguato. Tanto più che per i lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dopo il 1° gennaio del 1996 non è previsto alcun tipo di integrazione all’assegno pensionistico da parte dello Stato. Visti lo stato dei conti pubblici e le proiezioni demografiche dei prossimi anni, non bisogna illudersi che lo Stato torni a integrare le pensioni. Come dimostrano le proiezioni sui sistemi pensionistici europei contenute nel Libro Bianco sulle pensioni della Commissione Europea. Ci vorrà quindi una scorta fai-da-te. Che va però organizzata per tempo. Per garantirsi infatti una pensione pari all’80% dell’ultimo stipendio (un livello simile a quello a cui erano abituati i lavoratori italiani prima delle riforme) è necessario prevedere un investimento in forme di risparmio che permettano di costruire una rendita adeguata. Sempre Progetica ha calcolato quanto bisogna versare in base alla tipologia di investimento scelto e allo scenario atteso. Anche in questo caso infatti non c’è certezza, ma bisogna comunque basarsi su uno scenario atteso. «Tempo e mercati si rivelano due preziosi alleati per poter provare a raggiungere l’obiettivo dell’80% del reddito», sottolinea Andrea Carbone di Progetica. «Sapendo che definire il reddito necessario all’epoca del pensionamento è un’operazione più articolata, che include considerazioni sul luogo nel quale si vorrà vivere, con quali persone, con quali necessità. L’importanza di alcuni versamenti suggerisce ancora una volta la necessità di prendere consapevolezza del tema pensionistico e di pianificare per tempo la propria stabilità e serenità economica futura». Nel caso di uno scenario medio in termini di crescita del pil e altri variabili coinvolte un lavoratore trentenne dovrà versare 231 euro al mese nella linea garantita o 162 euro in quella bilanciata per ottenere al momento della pensione un assegno che consenta di avere a disposizione un flusso di 1.600 euro (ossia l’80% dei 2.000 euro dell’ultimo stipendio). Questa cifra sale a 402 euro per chi ha 40 anni e opta per una linea garantita. Mentre un cinquantenne che può ancora contare su un assegno pubblico più generoso se la cava con un versamento di 93 euro al mese sempre nella linea garantita.

 

Per chi è autonomo queste cifre salgono perché il tasso di sostituzione dell’assegno pubblico è più basso. Per esempio, un lavoratore autonomo di 30 anni potrà aspettarsi una pensione nel migliore dei casi di 1.145 euro e nello scenario più sfavorevole di 723 euro. Da qui la necessità di versare una cifra tra 570 e 730 euro nelle linee garantite per ottenere alla fine i 1.600 euro necessari a coprire il fatidico 80% dell’ultimo stipendio. (riproduzione riservata)