È durato circa mezz’ora l’interrogatorio di garanzia di Salvatore Ligresti, alla procura di Milano, davanti al gip Franco Cantù Rajnoldi. L’ex patron di FonSai si è avvalso della facoltà di non rispondere «nell’ottica di riprendere il confronto, da cui non si vuole sottrarre, con l’autorità giudiziaria di Torino», come ha spiegato il suo legale, Gianluigi Tizzoni, al termine dell’incontro. Sempre stando a quanto riferito dal legale, Ligresti si è detto «sorpreso del fatto che sospettino che io, che ho più di 80 anni, pensi a scappare. Nella mia vita ho sempre pagato quanto dovevo pagare e ho affrontato tutti i miei processi. Anche di recente, in occasione del procedimento a Firenze (che si è chiuso dopo cinque anni con una assoluzione piena nei confronti della famiglia Ligresti, ndr), non mi sono mai sottratto alla giustizia».

Proprio per questo motivo Salvatore Ligresti non ritiene proporzionata la misura restrittiva emessa nei suoi confronti. «Prima sosterremo l’interrogatorio davanti ai pm di Torino (lunedì prossimo, ndr) e poi», ha riferito ancora Tizzoni, «valuteremo se inoltrare richiesta di revoca degli arresti domiciliari».

Intanto è stato sottoposto a sette ore di interrogatorio in procura a Torino l’ex a.d. Emanuele Erbetta, che ieri è comparso davanti al pm Marco Gianoglio nell’ambito dell’inchiesta su falso in bilancio e aggiotaggio. Erbetta verrà riascoltato lunedì mattina. I contenuti dell’interrogatorio sono stati secretati.

Oggi proseguiranno gli interrogatori del pm. Saranno ascoltati Jonella Ligresti, ex presidente di FonSai e attualmente detenuta nel carcere del capoluogo piemontese, e Fausto Marchionni, ex a.d. della compagnia assicurativa, agli arresti domiciliari nel cuneese.

Nel fine settimana il commissario ad acta di FonSai, Matteo Caratozzolo, aveva notificato ai componenti della famiglia Ligresti e ad alcuni ex manager una richiesta di sequestro conservativo dei beni per l’intero danno lamentato dalla compagnia, pari a 245 milioni. La richiesta è arrivata a valle delle conclusioni tracciate dallo stesso Caratozzolo, che aveva parlato di una «sistematica spoliazione» che la famiglia avrebbe condotto per anni nei confronti della compagnia.

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