di Andrea Pira  

A seconda dei punti di vista il sistema finanziario ombra cinese è visto come la possibile miccia di una crisi simile a quella del 2008 o come l’unica soluzione in una situazione in cui l’accesso al credito è limitato. Joe Zhang, autore di Inside China’s shadow banking: the next subprime crisis?, fornisce su Bloomberg una spiegazione dall’interno su come lui stesso sia diventato un «bancario ombra».

La prima ragione è aver visto che il sistema dava ampi guadagni. Chi vuole lanciarsi nel mondo degli affari ha bisogno di finanziamenti e se riceverli dalle grandi banche statali è difficile, allora occorre rivolgersi altrove. Il boom si è avuto attorno al 2010 quanto fu posto un freno al flusso di liquidità deciso con il pacchetto di stimolo per superare la crisi finanziaria di due anni prima, che come conseguenza ebbe anche un’impennata dell’inflazione. Le banche iniziarono a favorire le grandi imprese statali, gli altri dovettero cercare altri metodi per accedere ai capitali.

Nell’autunno del 2011 la situazione venne a galla con la serie di fallimenti a Wenzhou sulla costa sud-orientale della Repubblica popolare, fulcro del manifatturiero in Cina, che spinse il governo a correre ai ripari tanto da trasformare la città nel centro in cui sperimentare la liberalizzazione del sistema del credito. Le stime danno il valore del sistema bancario informale nell’ordine delle migliaia di miliardi di dollari, gestiti da istituti di microcredito, banchi dei pegni, prodotti di gestione patrimoniale altamente lucrativi offerti dalle banche stesse con un tasso d’interesse superiore al 3,3% fissato dal governo. Sono questi ultimi a essere finiti nel mirino della dirigenza del Paese. Come riporta la Reuters, l’impennata del tasso interbancario di giugno deve essere intesa come un avvertimento della Banca centrale agli istituti dediti a operazioni con strumenti «creativi» spesso usati per ripianare altri prestiti e che non è chiaro in quali investimenti saranno usati, ma rischiano di sfociare in fallimenti bancari.

Scrive Zhang che i banchieri informali sono facile bersaglio di demonizzazione, i loro metodi non sono «ortodossi», forse addirittura «disdicevoli», i prestiti che forniscono non si preoccupano di alcun bilancio patrimoniale e sembra quasi che attendano che qualcosa vada male. Secondo questo banchiere informale, si tratta di una percezione sbagliata.

Da due anni lui stesso è alla guida di un istituto di microcredito a Guangzhou e ha fornito prestiti a piccole e medie imprese. I clienti sono troppo piccoli e non danno adeguate garanzie per ricevere prestiti dalle banche. Allo stesso tempo i prestiti sono comunque restituiti, continua Zhang che traccia anche un parallelo con la crisi dei subprime del 2008. È al sistema tradizionale, scrive Zhang che occorre mettere mano per evitare che tutto imploda. Alzando i tassi di interesse e riducendo il numero dei prestiti a rischio nel settore formale.

* da www.formiche.net