di Stefania Peveraro

Entro lunedì 22 luglio gli Stati membri dell’Unione Europea devono adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2011/61/Ue sui gestori di fondi di investimento alternativi. Si tratta dei fondi chiusi immobiliari, di private equity, di private debt, i fondi infrastrutturali e gli hedge fund (direttiva sugli Alternative investment fund manager, Aifmd).

Insomma i fondi diversi da quelli aperti tradizionali, disciplinati dalla direttiva Ucits IV. Sempre il 22 luglio entreranno in vigore i due regolamenti sui fondi europei di venture capital e ai fondi europei per l’imprenditoria sociale. Anche in questo caso gli Stati membri devono designare per tempo le autorità competenti per l’autorizzazione e la vigilanza dei gestori e per sanzionare le violazioni. Come al solito l’Italia è in ritardo nel recepimento delle direttive, anche se questa volta il ritardo dovrebbe essere limitato, visto che da inizio luglio sul sito del ministero dell’Economia e delle Finanze è stata pubblicata, per consultazione sino a sabato 20 luglio, la bozza di documento contenente le principali modifiche da apportare al Testo unico della Finanza, in modo da adeguarlo alla disciplina europea. Il tutto è stato fatto per accelerare i tempi, mentre la delega legislativa è ancora in corso di approvazione in Parlamento.

 

Detto questo, mentre per l’applicazione della direttiva Ue in Italia è necessaria una legge che la recepisca, i regolamenti europei sono invece immediatamente efficaci nei Paesi membri, una volta entrati in vigore. Quello sui fondi di venture capital recepisce le proposte della Commissione Ue in tema di passaporto europeo per i venture con l’obiettivo di stabilire regole standard per i fondi, che potranno così avvantaggiarsi rispetto ai concorrenti nella raccolta dei capitali in tutto il territorio della Ue. Allo stesso modo il Regolamento sui fondi per l’imprenditoria sociale stabilisce norme uniformi applicabili a veicoli di questa categoria che desiderino raccogliere risorse in tutta l’Unione, e impone obblighi corrispondenti ai loro gestori in tutti gli Stati membri.

La bozza delle norme transitorie (pubblicata lo scorso 18 luglio) fissa il 22 luglio 2014 come data entro la quale i gestori di fondi alternativi dovranno adeguarvisi. Nel documento di presentazione della bozza di decreto, il Tesoro spiega che «le numerose modifiche da apportare al Tuf per adeguarlo alla disciplina europea in materia di fondi alternativi e l’uso sempre più frequente, in ambito europeo, dello strumento del regolamento delegato della Commissione Ue in materia di gestione collettiva del risparmio, rendono necessario un ripensamento della struttura del Titolo III del Tuf nonché dell’impianto definitorio presente nel Testo unico». Nel dettaglio si propone una suddivisione delle norme sulla gestione collettiva del risparmio secondo macro aree: soggetti autorizzati italiani e attività esercitabili ai sensi delle direttive Ucits e Aifmd; disciplina degli Oicr italiani; operatività transfrontaliera dei gestori italiani ed esteri; commercializzazione in Italia di Oicvm e fondi alternativi; obblighi supplementari per le sgr i cui fondi alternativi acquisiscono partecipazioni rilevanti e di controllo; disciplina del depositario.

 

«La sensazione è che il ministero stia anticipando nelle norme italiane i contenuti della prossima direttiva Ucits V, che applicherà anche ai fondi armonizzati aperti molti dei concetti introdotti dalla direttiva Aifmd in relazione ai soli fondi alternativi», spiega a MF-Milano Finanza Riccardo Lamanna, managing director di State Street Global Services in Italia, che prosegue: «In generale, però, vale il concetto che sgr e banche italiane sono soggette a norme e regolamenti nazionali più restrittivi di quelli introdotti dalla Aifmd, che però a loro volta risultano più severi rispetto a norme e regolamenti al momento in vigore in altri Paesi europei. Ciò significa che su alcuni temi per gli attori italiani ci troviamo di fronte a una sorta di liberalizzazione dell’attività». La Aifmd, che si applica alle società di gestione di fondi di investimento alternativi, ma non ai fondi stessi, dispone procedure operative e sistemi di gestione del rischio e della liquidità più severi rispetto a quelli oggi esistenti per i gestori in molti Paesi Ue. Inoltre incentiva la trasparenza nei confronti degli investitori e introduce requisiti di capitale minimo e regole sulla remunerazione dei gestori più stringenti. Come contropartita dell’aumento delle regole, la direttiva introduce un passaporto europeo per i gestori alternativi che vogliano collocare i propri fondi presso gli investitori professionali. Ma il punto è che i fondi alternativi di diritto italiano rispondono già ai requisiti imposti dalla normativa comunitaria. Dunque, per il nostro ordinamento, la novità più importante è rappresentata dall’istituzione del nuovo passaporto europeo, che consentirà ai fondi alternativi italiani di essere commercializzati in tutta la Ue e, viceversa, a quelli europei di essere commercializzati in Italia. Il che significa più possibilità di concorrenza da parte dei gestori esteri nei confronti di quelli italiani. «Per quanto ci riguarda», aggiunge Lamanna, «la direttiva amplia il numero dei soggetti che possono svolgere il ruolo di banca depositaria. Sinora in Italia a questo scopo era necessario essere un’istituto di diritto italiano oppure di diritto estero, ma autorizzato da Banca d’Italia, perché l’attività di banca depositaria non è soggetta al mutuo riconoscimento europeo. Con l’introduzione della direttiva Aifmd, invece, potranno svolgere il ruolo di banca depositaria anche un’impresa di investimento o una sim, quindi soggetti che hanno normalmente una patrimonializzazione inferiore a quella tipica delle banche e, ragionevolmente, anche meno esperienza nel settore». Un’altra questione riguarda il controllo della liquidità. Spiega ancora Lamanna: «Oggi è in vigore una norma che obbliga i fondi di qualunque tipo a concentrare la liquidità presso una banca depositaria, la quale autorizza in via preventiva tutti i movimenti di cassa e controlla quindi che i pagamenti siano regolari e legittimi. Le norme europee, invece, permettono ai fondi di concentrare la liquidità anche presso altri soggetti, a patto che i fondi lo comunichino alla banca depositaria e che esista un accordo tra la banca e il soggetto terzo presso il quale è depositata la liquidità, in modo che la banca possa comunque condurre i controlli di propria pertinenza, rimanendo responsabile della custodia degli attivi dei fondi». (riproduzione riservata)