di Roberta Castellarin

Magre pensioni e conti in rosso. È questa la fotografia che emerge dalla relazione annuale dell’Inps. Nel 2012 la gestione finanziaria di competenza della nuova Inps (dopo la fusione con Inpdap ed Enpals) ha evidenziato un saldo negativo di quasi 9 miliardi, dovuto alla gestione dei dipendenti pubblici ex Inpdap.

Il disavanzo dello scorso anno, pari a 8,996 miliardi, risulta dalla differenza tra 376,896 miliardi di entrate e 385,892 miliardi di uscite. L’incorporazione dell’ente pensionistico dei lavoratori della pubblica amministrazione, già in rosso nel 2011 per 10,269 miliardi, ha fatto scendere anche il patrimonio netto da 41,3 miliardi nel 2011 a 22 nel 2012.

Infatti la riforma varata dal governo Monti, che aveva come obiettivo la tenuta del sistema nel lungo termine, non può fare granché nel breve periodo per riportare i conti dell’Inps in ordine. D’altra parte, se l’economia non riparte e soprattutto se non aumenta il tasso di occupazione (e quindi i contributi versati), non c’è riforma che tenga.

 

Il motivo è che lo Stato fino al 1997 non versava tutti i contributi dovuti all’ente di previdenza del pubblico impiego; da qui un buco crescente per l’ente che è andato ad allargarsi quando il numero dei pensionamenti è aumentato. Di fatto ogni anno lo Stato deve versare all’Inpdap prima, e ora all’Inps, 10 miliardi per colmare questo debito, oltre ai 20 miliardi destinati alle pensioni private.

Un trasferimento che non ci sarà più per i lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dopo il 1996 e che ricadranno in un puro sistema contributivo.

E se oggi, nonostante il trasferimento dello Stato, quasi la metà degli oltre 15 milioni di pensionati, ossia tre pensionati su quattro, prende meno di 1.000 euro al mese e circa un terzo tra i 500 e i 1.000 euro, non bisogna farsi illusioni sul futuro. Quando l’assegno dipenderà dai contributi versati, rivalutati in base alla crescita economica registrata dall’Italia in questi anni. Da qui la necessità di provvedere a crearsi una pensione di scorta che permetta di colmare il gap tra ultimo stipendio e assegno pubblico. «Oggi su 23,5 milioni di pensioni erogate circa 10,5 milioni sono integrate dallo Stato: si tratta del 46% delle prestazioni in pagamento. Mentre per chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio del 1996 la legge ha abolito qualsiasi forma di integrazione pensionistica per cui se non avranno versato contributi sufficienti resteranno pensionati poveri», sottolinea Alberto Brambilla, coordinatore della Giornata nazionale della previdenza, che ha organizzato a Milano un convegno proprio sul Welfare complementare: una risorsa per il Paese.

Dall’incontro è proprio emerso quanto sia importante una maggiore consapevolezza sull’importanza della previdenza complementare. E la necessità di un estratto conto previdenziale dell’Inps che dovrebbe contenere una stima sull’importo futuro della prestazione offerta dalla previdenza pubblica e quindi un’evidenza sul gap previdenziale che i lavoratori devono coprire.

Nelle scelte che riguardano il futuro previdenziale entra infatti anche in gioco l’emotività.

 

Proprio per questa ragione Mefop ha organizzato un corso di alta formazione sul tema Parlare alla pancia. Il meccanismo di scelta previdenziale tra emozioni e razionalità. Gli esperti si sono interrogati su come si possa parlare alla parte più emotiva dell’essere umano per coinvolgerlo su un tema importante come il proprio futuro previdenziale, conoscendo e imparando anche a utilizzare al meglio la rete e i social network per raggiungere tutti i potenziali iscritti. Questo perché, secondo Mefop, capire quali sono i fattori che influenzano la scelta di iscriversi o meno al fondo pensione può aiutare a determinare l’aumento delle iscrizioni alla previdenza complementare. Secondo l’analisi Mefop il problema pensionistico deve pagare il prezzo della distanza temporale tra le scelte effettuate e i benefici che se ne traggono. Da qui l’importanza di proiezioni dell’assegno futuro che permettano ai lavoratori di avere una chiara percezione del problema fin da subito. Non solo. Secondo Mefop anche la presenza di molte opzioni rende difficile la scelta. Così come le continue revisioni della normativa che riguarda la pensione pubblica inducono i lavoratori ad aspettare che il quadro sia più certo. Ma come superare queste barriere? Secondo Mefop sarebbe utile semplificare le scelte al momento dell’adesione, presentando percorsi definiti ai lavoratori. Poi potrebbe aiutare una maggiore presenza dei piani lifecycle, che prevedono un meccanismo di revisione automatica dell’asset allocation durante il periodo di contribuzione. Un sistema che permette al lavoratore di delegare la scelta della linea di investimento e che quindi riduce il numero delle scelte da effettuare. Per combattere l’inerzia ad aderire è anche utile vedere dove siano più alti i tassi di adesione; e si scopre che i fondi aziendali più grandi hanno un maggiore tasso di adesione a riprova che si può innestare un circuito virtuoso di nuove adesioni quando sale il numero degli iscritti anche per una tendenza all’imitazione delle scelte dei colleghi. Da qui l’idea di utilizzare anche i social network per aumentare la comunicazione e parlare ai lavoratori ancora non iscritti alla previdenza complementare. (riproduzione riservata)