L’iniziativa legislativa volta a introdurre una rinnovata disciplina della responsabilità dei magistrati pone a proprio dichiarato presupposto la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 24 novembre 2011. La Corte ha ritenuto contrastante con il diritto sovranazionale sia l’esclusione della responsabilità dello stato italiano quando la violazione risulti dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove compiute in sede processuale sia la restrizione della stessa ai soli casi di dolo o colpa grave. In particolare la pronuncia, richiamando le sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo, reputa incompatibili con l’ordinamento dell’Unione i risultati a cui era giunta la Corte di cassazione attraverso una lettura estremamente restrittiva delle nozioni di «colpa grave» e di «negligenza inescusabile». Ciò in riferimento all’attività dei giudici di ultima istanza (quali organi giurisdizionali obbligati al rinvio pregiudiziale). L’adeguamento alle sentenze comporta quindi, oltre alle modifi che legislative, anche un impegno più sistematico nella formazione dei magistrati, che ne migliori, proprio in riferimento al diritto dell’Unione, il livello di competenza e di esperienza. Alla vicenda è stata invece data una lettura opportunistica e strumentale, del tutto estranea a una corretta comprensione delle affermazioni della Corte di giustizia. Lo stesso disegno di legge governativo (ancor prima del discusso emendamento Pini, con la sua proposta d’introdurre un’azione diretta contro il magistrato) non si preoccupa affatto dell’impatto delle sentenze della Corte sulla disciplina risultante dalla legge n. 117/1988. In sostanza, nella normativa attuale i presupposti della responsabilità dello stato e del magistrato sono i medesimi e unico è l’accertamento sul fatto illecito. Questa premessa consente di cogliere le ragioni della giurisprudenza restrittiva della Corte di cassazione in materia (giudicata dalla Corte di giustizia incompatibile con il diritto dell’Unione). Tale orientamento costituisce l’unico vero presidio a difesa dell’indipendenza e dell’autonomia del giudice, altrimenti minacciato nel suo patrimonio per ogni attività interpretativa e valutativa che si discosti dagli orientamenti prevalenti nelle corti interne, sopranazionali e internazionali. Rimasti identici i meccanismi già vigenti, l’ampliamento della fattispecie del danno previsto dalla legge comunitaria in riferimento alla responsabilità dello stato italiano non può non importare automaticamente che la responsabilità del giudice abbia la stessa estensione, coinvolgendo così il nucleo della funzione giurisdizionale. Il giudizio sul singolo magistrato rimane altresì sottratto al regime comune a tutti gli altri dipendenti pubblici e non è dunque affi dato alla Corte dei conti, da sempre legata a una rigorosa visione del principio della personalità della responsabilità. Per molti aspetti il trattamento riservato ai magistrati si presenta addirittura deteriore rispetto a quello previsto per il resto del settore pubblico, nonostante che i valori dell’imparzialità e dell’indipendenza del giudice siano sanciti dalla Costituzione e costituiscano patrimonio comune dello Spazio giuridico europeo. In altri paesi tali valori inducono a disciplinare con particolare cautela la responsabilità derivante dallo svolgimento della funzione giudiziaria. In Germania, per esempio, il giudice può essere chiamato a rispondere civilmente solo quando il fatto costituisca reato; inoltre, anche il risarcimento per irragionevole durata del processo è stato attentamente distribuito, in modo che, in concreto, a pronunciarsi sui ritardi della giurisdizione amministrativa siano gli stessi giudici amministrativi. In Italia invece si rischia di arrestare quel percorso verso la pienezza e la satisfattività della tutela realizzato dalla giurisprudenza amministrativa nella sua storia, spesso nell’indifferenza del legislatore: questo slancio, teso a dare dignità ed effettiva protezione ai singoli nei confronti della p.a., potrà risultare paralizzato dalla preoccupazione delle conseguenze economiche e la ricerca della migliore soluzione nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme cederà il passo a pronunce conformistiche (ma non «pericolose»), ripetitive, «autoreferenziali» se non «eteroreferenziali », secondo canoni dettati da corti superiori interne ed esterne con le quali invero le tanto predicate occasioni di dialogo stentano a realizzarsi. Giuseppina Adamo Consigliere Tar