di Anna Messia

Da qui al 2040 la speranza di vita dei pensionati italiani di 65 anni, ovvero di chi percepisce una rendita, si allungherà fino a 88 anni per gli uomini e arriverà addirittura a 92 anni per le donne. Il dato, che rappresenta un sensibile incremento rispetto alle stime attuali, che si attestano a 84 anni per gli uomini e a 88 anni per le donne, rischia di obbligare il governo, ma anche casse, enti previdenziali e assicuratori, a rifare i calcoli per il calcolo delle rendite che dovranno pagare ai propri pensionati. Le nuove stime sono state presentate ieri a Roma dal Consiglio Nazionale e dall’Ordine nazionale degli attuari e le tendenza emerse sono destinate inevitabilmente a incidere sull’economia e sul welfare. Basti pensare alla riforma delle pensioni appena studiata dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e al cosiddetto sistema contributivo: i requisiti per il pensionamento e per il calcolo delle rendite sono infatti determinati proprio in funzione dell’evoluzione della speranza di vita e da questo tipo di previsioni e di stime dipende l’equilibrio di lungo termine di istituti ed enti di previdenza. Anche per quanto riguarda la previdenza complementare, poter disporre di dati attendibili sulla base demografica rappresenta una questione cruciale per determinare l’equilibrio tra costi e prestazioni. Dai dati Istat 2012 era già emerso che la speranza di vita alla nascita si è allungata a 79 anni per gli uomini e a 84,1 anni per le donne. Una tendenza che fa dell’Italia uno dei primi Paesi al mondo per longevità della popolazione e che, come rilevato dagli attuari, è ancora più alto per i percettori di rendita che vivono più a lungo rispetto al resto della popolazione. Nello studio è stata analizzata in particolare la speranza di vita nel periodo 1980-2009 per dipendenti pubblici e privati, oltre che per lavoratori autonomi, medici, avvocati e lavoratori dello sport e dello spettacolo e dai dati emerge che negli ultimi 30 anni la speranza di vita a 65 anni dei percettori di rendite si è allungata mediamente dell’1% all’anno, attestandosi appunto nel 2009 a circa 84 anni per gli uomini e 88 per le donne. «Si tratta di rilevazioni utili al Paese», spiega Giampaolo Crenca, presidente nazionale del Consiglio nazionale attuari. «Dati che hanno una valenza scientifica e che la professione degli attuari vuole mettere al servizio della collettività. Proponiamo che lo studio venga sistematicamente e periodicamente aggiornato», ha aggiunto, «per diventare un avvenimento ricorrente nel settore previdenziale, riconosciuto dal governo, allargandone anche i partecipanti e coinvolgendo istituzioni quali la Ragioneria Generale dello Stato e l’Istat, che già operano con ricerche e proiezioni nel più vasto settore delle previsioni demografiche della popolazione generale». Ma già a questo primo studio degli attuari, che come detto ha riguardato esclusivamente i percettori di rendita, hanno partecipato diversi enti e organizzazioni che operano nel settore previdenziale fornendo i loro dati e informazioni. Un lungo elenco che comprende l’Ania, Assofondipensione, Assoprevidenza, Cassa Forense, Enpals, Enpam, oltre che Inail, Inpdap e Inps. (riproduzione riservata)