Il giudice deve rilevare la nullità della clausole vessatorie nel procedimento di ingiunzione, senza aspettare la fase dell’opposizione. Questa la risposta del giudice europeo nella sentenza del 14 giugno 2012, che ha risolto una questione emersa in Spagna. Secondo la legislazione spagnola (ma analoga è quella italiana) il giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento gode di una competenza limitata al solo accertamento dell’esistenza delle condizioni formali di instaurazione di tale procedimento, in presenza delle quali esso deve accogliere la domanda della quale è investito e rendere un’ingiunzione esecutiva: il giudice non può, invece, esaminare la fondatezza della domanda alla luce delle informazioni, a meno che il debitore si rifi uti di saldare il suo debito o proponga opposizione. La Corte europea ha ritenuto che un simile regime procedurale, che istituisce un’impossibilità per il giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’uffi cio, anche qualora disponga già di tutti gli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fi ne, la natura abusiva delle clausole inserite in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, in assenza di opposizione proposta da quest’ultimo, può compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13. Nel caso italiano non c’è un vero e proprio divieto, espresso nel codice di procedura civile, al giudice dell’ingiunzione di valutare gli aspetti di merito, tuttavia la normativa è orientata a escludere che la decisione sul ricorso possa avere effi cacia di accertamento del credito (o viceversa dell’inesistenza del credito): sotto questo profi lo c’è una equiparazione con il caso spagnolo. Stando così le cose, sussiste quel rischio, ritenuto dalla sentenza in commento non trascurabile, che i consumatori interessati non propongano l’opposizione richiesta a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fi ne, ovvero poiché possono essere dissuasi dal difendersi tenuto conto delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato, oppure poiché ignorano o non intendono la portata dei loro diritti, od ancora in ragione del contenuto succinto della domanda d’ingiunzione introdotta dai professionisti e, pertanto, dell’incompletezza delle informazioni delle quali dispongono. La Corte europea nota che questo potrebbe portare a speculazioni. Sarebbe suffi ciente che i professionisti avviassero un procedimento d’ingiunzione di pagamento, invece di un procedimento civile ordinario, per privare i consumatori del benefi cio della tutela perseguita dalla direttiva 93/13, il che risulta del pari contrario alla giurisprudenza della Corte europea. La direttiva 93/13 deve essere interpretata, afferma la sentenza, nel senso che non è conforme la normativa di uno stato che non consente al giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’uffi cio, la natura abusiva di una clausola sugli interessi moratori inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, anche in assenza di opposizione proposta da quest’ultimo.

La clausola abusiva va dichiarata nulla

Il giudice non può correggere una clausola dichiarata abusiva, ma deve solo dichiararne la nullità. Lo ha precisato la Corte di giustizia nella sentenza del 14 giugno 2012. L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve, infatti, essere interpretato nel senso che contrasta con l’ordinamento europeo una norma che consente al giudice nazionale, qualora accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, di integrare il contratto rivedendo il contenuto di tale clausola. Nessun potere giudiziale di soccorso. I giudici nazionali, si legge nella sentenza, sono tenuti unicamente ad escludere l’applicazione di una clausola contrattuale abusiva affi nché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima. Infatti, il contratto deve sussistere, in linea di principio, senza altra modifi ca che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile. Anche questo principio può avere rifl essi per l’ordinamento italiano nel caso in cui la legge riservi al giudice di intervenire sul contratto (riconduzione ad equità delle clausole penali): anche se va considerato che ai sensi dell’artico 36 del codice del consumo (dlgs 206/2005) le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.

L’adesione alle condizioni non è considerata vincolante

La direttiva 93/13 è ispirata al principio che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte preventivamente dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse. Per questa ragione è previsto che le clausole abusive non vincolano i consumatori. Per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la Corte europea ha sottolineato che la disuguaglianza che esiste tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte del giudice, che è tenuto ad esaminare d’uffi cio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a porre un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista Il giudice, quindi, ha l’obbligo e non la semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale.