DI GIAMPIERO DI SANTO Qualcuno, l’Unione europea, le fermi. Prima che sia troppo tardi. Suona più o meno così l’appello lanciato ieri da Rete Imprese Italia, Abi, Confindustria, Ania, Alleanza delle cooperative, cioè da tutto il mondo dell’impresa, perché i governi trovino il modo di neutralizzare le agenzie di rating e gli effetti delle loro malefatte. Il giorno dopo il nuovo declassamento dei titoli del debito pubblico italiani, trattati ormai alla stregua della spazzatura o dei junk bond degli anni 80 inventati da Michael Milken, le aziende, le banche e la finanza italiane, unite contro un nemico esterno che si fa sempre più minaccioso e angoscioso, hanno sollecitato l’Unione europea a intervenire. Con un comunicato congiunto diffuso già di buon mattino, le cinque sigle, hanno rivendicato la solidità dell’Italia, ribadito l’importanza della sua economia e ricordato che lo sforzo di risanamento sopportato da aziende e famiglie è enorme. «Il nostro paese è solido, l’Italia è la sesta economia ad alto reddito del mondo e la sua capacità di generare prodotto è basata sul robusto contributo del secondo settore manifatturiero d’Europa», si legge nella nota, «che ha subito forti contraccolpi dalla recessione ma che rimane vitale e in profonda trasformazione». Una affermazione incontestabile, così come è incontestabile che «lo sforzo che gli italiani stanno compiendo nel risanamento dei conti pubblici ha pochi eguali tra i paesi avanzati», aggiungono gli imprenditori. E non basta, perché tutti i fondamentali dell’economia, crescita a parte, parlano di un paese che ha ancora molte frecce al suo arco: «In Italia non si sono registrate bolle speculative, pure nella modesta crescita che abbiamo realizzato », elencano gli industriali. «Il debito aggregato è basso, il deficit pubblico sotto controllo, con un saldo primario positivo e crescente nel tempo. Le famiglie italiane sono poco indebitate e detengono uno stock di ricchezza finanziaria tra i più elevati rispetto al pil. Possiamo contare su di una riforma delle pensioni che non ha uguali in Europa». Insomma, malgrado il debito e la crescita, anzi la decrescita dell’economia, con un prodotto atteso in calo di oltre il 2,4% nel 2012, gli elementi positivi sono prevalenti. Eppure, lamentano le aziende, le banche e le assicurazioni d’Italia, «questi elementi passano in secondo piano nelle valutazioni di Moody’s a fronte di un ipotetico incremento del rischio di contagio». Insomma, questa volta non si può fare fi nta di nulla e tirare avanti, perché secondo le organizzazioni delle imprese ormai «è evidente che i giudizi espressi non appaiono equi e assomigliano a mere profezie la cui capacità di avverarsi dipende però dalla profezia stessa». Un comportamento più che sospetto, anche in considerazione «della natura commerciale delle società di rating, della composizione della loro governance e delle indagini in cui sono coinvolte», «tutti elementi che suscitano forti perplessità circa la loro reale indipendenza e l’appropriatezza dell’uso del termine agenzie nei loro confronti ». Moody’s, controllata dal magnate Usa Warren Buffet, Standard and Poor’s (nelle mani di McGraw-Hill) e Fitch (i francesi di Fimalac e il gruppo editoriale Hearst) vedono nel loro azionariato anche grandi Fondi di investimento e società fi nanziarie. Un fatto grave, perché non depone certo a favore della imparzialità di giudizio delle tre sorelle, «che non sono chiamate mai a rispondere delle loro valutazioni » . Ecco perché le imprese italiane chiedono di «sottrarre il giudizio sulla qualità dei debiti statali a soggetti con fi ni di lucro» e lanciano un appello perché le autorità europee «annullino gli effetti dei rating previsti dalle norme in vigore» e i privati elimino il riferimento ai rating nei contratti. Subito, prima che le agenzie facciano «nuovi danni a Stati, cittadini, imprese». © Riproduzione riservata