di Andrea Di Biase

Perché la famiglia Ligresti avrebbe dovuto avere l’impegno scritto di Mediobanca, Unicredit e Unipol per ottenere quello che il contratto siglato il 29 gennaio scorso tra la compagnia bolognese e Premafin prevedeva apertamente? È questo uno degli interrogativi che circondano il giallo legato al presunto accordo che, secondo la versione dei Ligresti, sarebbe stato raggiunto con l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, lo scorso 16 maggio e da qualche giorno finito sotto la lente del pm di Milano, Luigi Orsi. Supponendo per un momento che tale accordo sia stato davvero raggiunto, anche solo tra l’ingegnere di Paternò e il numero uno di Piazzetta Cuccia, non si comprende per quale motivo i Ligresti avessero la necessità di formalizzare in un documento riservato quello che, in gran parte, era già previsto nel contratto siglato tra Premafin e Unipol e pubblicato integralmente su richiesta della Consob il 29 marzo scorso. I 43 milioni che, secondo quanto riportato nei resoconti da Palazzo di Giustizia, sarebbero stati garantiti alla famiglia equivarrebbero infatti all’importo (calcolato al 17 maggio) del diritto di recesso legato alla fusione tra Premafin, Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni e Unipol Assicurazioni. Risorse che dunque le società della famiglia, comprese Sinergia e Im.Co, che all’epoca non erano ancora state dichiarate fallite, erano legittimate a incamerare sulla base degli accordi ufficiali raggiunti a fine gennaio con il gruppo bolognese. Il parere della Consob, che ha condizionato l’esenzione dall’opa concessa a Unipol al fatto che non venissero girati benefici di natura economica ai vecchi azionisti di controllo di Premafin, è infatti successivo al 16 maggio, essendo stato pubblicato una settimana dopo, il 24 maggio. Perché allora formalizzare il 17 maggio, sempre ammesso che l’accordo sia stato davvero raggiunto, la concessione di un tal beneficio? Perché c’era il sentore che di lì a poco l’authority presieduta da Giuseppe Vegas si sarebbe pronunciata in quella direzione? O perché c’era la volontà dei Ligresti di ottenere anche altri benefici non monetari (alcuni dei quali sono stati elencati nelle indiscrezioni filtrate l’altroieri da Palazzo di Giustizia)? Domande cui potrà dare una risposta definitiva solo l’autorità giudiziaria ma di fronte alle quali anche la Consob, che si accinge ad acquisire copia del testo del presunto accordo sequestrato la scorsa settimana nella cassaforte dell’avvocato Cristina Rossello, potrebbe giungere presto ad alcune conclusioni. Sulla carta, alla luce degli elementi fin ora emersi, gli scenari possibili sono tre. 1) La famiglia Ligresti si sarebbe rivolta a Mediobanca e al suo ad, Alberto Nagel, per cercare di ottenere ulteriori benefici rispetto al diritto di recesso e alle manleve previste dall’accordo tra Premafin e Unipol del 29 gennaio. A valle di questa trattativa, di cui né il gruppo bolognese né Unicredit sarebbero stati a conoscenza, sarebbe stato raggiunto l’accordo, che sarebbe poi stato sottoposto anche agli altri due soggetti. L’intervento della Consob del 24 maggio avrebbe tuttavia fatto venire meno i presupposti dell’intesa, che non sarebbe stata pertanto ratificata né da Unipol né da Unicredit e non avrebbe quindi alcuna validità. Se così fosse, non ci sarebbero impatti sull’operazione Unipol-FonSai, ma il danno reputazionale per Nagel e Mediobanca sarebbe comunque altissimo. 2) I Ligresti, come sostengono in Piazzetta Cuccia, hanno bussato al portone di Mediobanca con una lista di richieste aggiuntive rispetto ai benefici previsti dall’intesa con Unipol del 29 gennaio, la avrebbero esposta a Nagel, ma quest’ultimo, dopo averli ascoltati, si sarebbe limitato a fare presente che non c’era spazio per un’ulteriore trattativa, rispedendo così le richieste al mittente. Se così fosse, a rischiare di più sarebbero gli stessi Ligresti, se è vero che di fronte all’autorità giudiziaria hanno sostenuto la tesi del patto occulto. 3) L’accordo, seppur sottoscritto solo da Salvatore Ligresti e da Nagel, esiste e ha tuttora una sua validità. Questo sarebbe lo scenario più preoccupante non solo per Nagel e Mediobanca, ma anche per l’operazione Unipol-FonSai. Di fronte a un patto ancora in vigore, seppure non dichiarato, la Consob sarebbe tenuta a imporre l’opa su Premafin e a cascata su FonSai e Milano. Ma chi dovrebbe lanciarla? Se Unipol non è parte dell’accordo, potrebbe anche non essere tenuta a farlo. Sul tavolo della Consob ci sarebbe dunque un bel rebus da risolvere. Si è conclusa intanto ieri la negoziazione dei diritti degli aumenti di capitale di Unipol e FonSai. Scaduto dunque il termine per chi voleva vendere (o acquistare), ci sarà ora tempo fino al primo agosto per esercitare i diritti e sottoscrivere la ricapitalizzazione. Come da manuale nell’ultimo giorno di trattazione le opzioni a Piazza Affari sono crollate a zero. Per il resto la seduta è stata pesante per FonSai, scesa del 9,75% a 3,61 euro, con Unipol in volata e salita dell’8,85% a 2,584 euro. Le FonSai rnc A hanno perso lo 0,49% portandosi a 36,22, mentre le privilegio Unipol sono salite del 7,24% a 1,2 euro. In calo dell’1,62% a 0,26 le Milano Assicurazioni, mentre Premafin ha perso il 2,15% a 0,15 euro. (riproduzione riservata)