di Angelo De Mattia

Come più volte sostenuto su queste colonne, alla fine si è arrivati alla soppressione di Isvap e Covip e all’attribuzione delle relative funzioni all’Ivarp che, dunque, vigilerà sulle assicurazioni e sui fondi pensione. Essendo ora nota la disciplina della nuova Authority, si può dire che essa mutua molto del rapporto esistente, a suo tempo, tra Banca d’Italia e Ufficio italiano dei cambi (Uic), poi soppresso con il trasferimento delle relative competenze alla Banca stessa e all’Uif. Un modello frequentemente evocato su MF-Milano Finanza. Gli organi del nuovo ente sono il presidente, che di diritto è il dg della Banca d’Italia, il consiglio, formato dal presidente e da due consiglieri nominati con un dpr su proposta del governatore, e dal direttorio di Via Nazionale (governatore, dg e tre vice dg) integrato dai due consiglieri, per l’esercizio delle funzioni istituzionali: direttorio che il decreto elenca per ultimo ma, stando alle attribuzioni conferitegli (atti di indirizzo, direzione strategica e tutti i provvedimenti di vigilanza con rilevanza esterna), è l’organo principale della nuova architettura. A ben vedere, le differenze tra le prerogative del direttorio nei confronti della Banca d’Italia rispetto a quelle nei riguardi dell’Ivarp sono minimali (le funzioni ricalcano quelle dell’art. 19 della legge 262/2005, al quale è sottoposta la Banca) ove si eccettui, per i profili della composizione dell’organo deliberante i provvedimenti di natura istituzionale, l’integrazione con i predetti due consiglieri. Insomma, il consiglio regola l’Istituto-azienda, il direttorio l’Ivarp-istituzione. Il risultato è una sorta di sistema dualistico, che potrebbe essere meglio e più chiaramente strutturato se il governo non porrà la fiducia sul decreto, tenendo conto anche di altre norme quali, per esempio, quelle che disciplinano lo statuto dell’ente, contenenti una prolissa elencazione di ciò che questa fonte deve prevedere (cosa non prevista neppure per lo statuto della Banca d’Italia dopo la legge del 1936), fino alla precisazione lapalissiana dello statuto che stabilisce «norme di dettaglio». Non si sfugge alla percezione di una impronta burocratico-ministeriale non in linea con gli indirizzi da tempo dominanti nella formazione di testi statutari, che si riverbera a danno della flessibilità e dell’efficacia, che non chiedono di certo il sacrificio delle necessarie garanzie. Dalla data di entrata in vigore del decreto cessano le funzioni di egli organi di Isvap e Covip e i presidenti dei due enti assumono le funzioni di commissari straordinari che, in tale veste, riferiranno con periodicità almeno quindicinale al dg della Banca d’Italia sull’attività svolta e sui provvedimenti assunti. Entro 120 giorni dovranno essere nominati i due consiglieri e predisposto dal direttorio della Banca d’Italia (non integrato) lo statuto da approvare con dpr. Il decreto prevede poi l’attribuzione ad altri soggetti di alcuni compiti particolari (Consap, Organismo per il registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi) e il recepimento da parte dell’Ivarp di altre competenze (dal ministero del Lavoro). Nel complesso si tratta di un impianto valido, ma che potrebbe essere rivisto in alcuni punti, anche per ragioni di tecnica normativa e per l’equilibrio sistematico da meglio conseguire tra le diverse previsioni. Si può dire che quella che era stata anticipata come una stretta connessione del nuovo ente con la Banca d’Italia si realizza in pieno, considerato il ruolo del direttorio e del presidente, ma anziché trasferire le funzioni dei soppressi Isvap e Covip direttamente alla Banca stessa, si ricorre a questa formula istituzionale-funzionale, ritenuta più idonea. Probabilmente si tratta di un assetto che, come nel caso dell’Uic, è destinato a essere direttamente incorporato dall’Istituto. Dovrebbe intanto rassicurare tutti il modo in cui si prevede saranno gestite le attribuzioni aventi rilevanza esterna, conferite sostanzialmente al citato direttorio. Quanto al potenziale conflitto di interesse che viene prospettato da qualche giornale per il possesso, da parte della Banca d’Italia, di una partecipazione nelle Generali, la seconda per importo fra le interessenze singole, al di là di tutto ciò che spesso è stato precisato dalla Banca stessa a proposito della gestione delle partecipazioni esistono diverse modalità per eliminare qualsiasi rischio, che sarebbe meramente di immagine e formale, sia attraverso formule funzionali di separatezza che non incidano sulla proprietà (si pensi, per analogia, a quanto si è fatto, per esempio, in Gran Bretagna per la rete delle telecomunicazioni) sia attraverso fondi ad hoc. Non si tratta, insomma, di un ostacolo di grande rilevanza, come qualche cronaca vorrebbe far credere. Anche perché non è il primo caso nella storia della Banca d’Italia, che ha sempre agito con estremo rigore e totale separatezza delle strutture coinvolte fino al vertice (si pensi agli oltre settanta anni di proprietà dell’Italfondiario, un istituto di credito fondiario poi alienato). Insomma, la scelta praticata dal governo, in specie se vista come passaggio verso una più organica riforma delle Authority, è senz’altro condivisibile. Il testo normativo ha bisogno di aggiustamenti che, come si accennava, saranno possibili se non sarà posta la fiducia. (riproduzione riservata)