L’inasprimento delle sanzioni in tema di studi di settore derivanti dalla mancata o infedele compilazione dei relativi modelli induce a riflettere sui confini della responsabilità del consulente nell’espletamento del mandato conferitogli dal cliente. L’attività svolta dai professionisti che operano in ambito tributario individua una responsabilità connessa all’esercizio della professione intellettuale, accompagnato da quello previsto per la violazione delle norme tributarie. L’attribuzione diretta dell’illecito amministrativo, in capo al consulente, è circoscritta dalla stessa Amministrazione finanziaria (circ. 108/98) ai casi in cui lo stesso risulti concorrente, autore mediato o unico responsabile. La soluzione di problemi di speciale difficoltà riduce la responsabilità al dolo o colpa grave. Il professionista può essere centro diretto di imputazione delle sanzioni tributarie in materia di studi di settore? In merito all’omessa presentazione del modello, la specifica responsabilità in vigilando del contribuente è rinvenibile, oltre che nelle disposizioni normative in tema di invio telematico, anche nella più recente giurisprudenza (Cass. n. 16958/2012). Per ciò che concerne l’infedeltà dei dati dichiarati, il coinvolgimento del consulente imporrà la dimostrazione dell’esistenza di un’ «istigazione» all’irregolarità o di un accordo volto a raggiungere la congruità. Nel caso dell’autore mediato, il contribuente dovrà, invece, attestare che il commercialista, «diligentemente» scelto, gli abbia fatto credere che l’elaborazione del modello sia stata conforme alla norma. Non vi sono dubbi sulla responsabilità diretta del professionista nello specifico caso dell’asseverazione dello studio. La trasmissione automatica delle sanzioni amministrative tributarie, in capo ad un soggetto diverso dal contribuente, non è quindi di facile applicazione, dato l’impianto normativo atto a dare certezza all’amministrazione finanziaria nella riscossione delle somme dovute. Venuto meno tale superiore interesse lo scenario si complica: si apre il delicato contesto della responsabilità del professionista nello svolgimento della propria prestazione. L’art. 1176, secondo comma, stabilisce che il consulente debba osservare l’obbligo di diligenza riferita alla natura dell’attività esercitata. Tale responsabilità è circoscritta ai casi di dolo o colpa grave, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c. – Cass. n. 21700/2011). Gli studi di settore possono essere definiti «problemi tecnici di speciale difficoltà »? La struttura stessa dello strumento fa sì che la complessità sia qualificabile quale massima di comune esperienza, senza necessità di ulteriore prova. In merito la «Commissione Rey» ha ribadito la difficoltà applicativa degli Sds da parte dei Funzionari dell’Agenzia delle entrate, data la moltitudine di relazioni statistiche, che impongono una specifica e adeguata formazione. Se la complessità dello studio di settore limita la responsabilità del professionista, desta preoccupazione la singolare conclusione cui è giunta la Suprema Corte in merito all’irregolarità dei dati dichiarati. La sentenza n. 9916 del 2010, affrontando il tema della colpa del consulente nel caso di infedele dichiarazione, decreta che, ove non sia osservata la diligenza richiesta dalla normativa e dalla deontologia professionale, lo stesso è tenuto a risarcire al proprio assistito parte delle sanzioni inflitte dal fisco. Alla luce di ciò è legittimo chiedersi quale sia il comportamento più sicuro per eseguire l’incarico di elaborare lo studio di settore. La risposta è nel principio sancito dalla sentenza: l’osservanza della diligenza richiesta dalle specifiche disposizioni normative e dalla deontologia professionale. Se il rispetto delle disposizioni normative deve essere valutato alla luce della complessità delle stesse, il richiamo al codice deontologico impone l’analisi delle sue applicazioni concrete nell’elaborazione dello Sds. Le linee guida rintracciabili nel capo II invitano a un’esplicita formalizzazione del mandato, che, nel caso specifico, contenga una «chiara e semplice» informativa sia sulla funzione degli studi di settore, sia sulla composizione del modello. È opportuno chiarire subito quali siano i dati «extracontabili» forniti dal cliente ricordando che lo stesso è l’unico a dover rispondere dei dati erronei comunicati al commercialista. (Trib. Genova 20/01/2012). La consegna dell’elaborato Sds ufficializza il risultato raggiunto e le scelte del contribuente. Ai fini di limitare la responsabilità sarà opportuno illustrare chiaramente le conseguenze del mancato adeguamento e i regimi premiali previsti dalla normativa. E se il cliente chiedesse di modificare i dati inseriti nello Sds? Le indicazioni per il professionista sono rinvenibili sempre nel codice deontologico che, all’art. 23, invita a non proseguire l’incarico se la condotta o le richieste dell’assistito ne impediscono il corretto svolgimento. A fronte di un’esplicita richiesta di «manipolare » lo studio, il professionista dovrà informare il contribuente sulle relative conseguenze, valutando l’eventuale cessazione dell’incarico. Se, al contrario, vi fosse una diversa, motivata, interpretazione della norma, bisognerà comunque evidenziarne i rischi eventuali, suggerendo una strada più consona. L’estrema formalizzazione di procedure, fa riflettere sul tipo di responsabilità richiesta al professionista. L’esigenza di elaborare correttamente il complesso strumento statistico, la cui principale funzione è legata all’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, rende naturale chiedersi se il fine sia tutelare il cliente nel rapporto con il proprio consulente. L’ambiguità dell’attuale sistema delle responsabilità professionali sembra condurre, in conclusione, a un «obbligo» di tutela di un interesse superiore, legato a una funzione pubblica del commercialista che è in attesa di ufficiale riconoscimento. Raffaella Messina, consigliere Fondazione Centro Studi Ungdcec