di Alberto Micheli

La picchiata di Piazza Affari delle ultime due sedute ha spinto la Consob a reintrodurre il divieto di vendite allo scoperto, il cosiddetto short selling, sui titoli bancari e assicurativi, i due settori più colpiti dagli attacchi speculativi. L’autorità di vigilanza ha motivato la disposizione con l’esigenza di «garantire l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori», tenuto conto «della straordinarietà delle condizioni di mercato rilevate nelle sedute del mese di luglio 2012, caratterizzate da un rilevante incremento della volatilità e da una forte discesa dei prezzi, con particolare riferimento alle azioni delle società del comparto finanziario». Il divieto riguarda sia le vendite allo scoperto assistite dal prestito titoli (covered) sia quelle nude, peraltro già vietate da una precedente delibera dell’11 novembre 2011, e sarà in vigore fino alle ore 18 di venerdì prossimo. Per il momento si tratta quindi di una misura temporanea e limitata a una trentina di titoli bancari e assicurativi (Azimut Holding, Banca Carige, Banca Finnat, Banca Generali, Banca Ifis, Banca Intermobiliare, Banca Monte Paschi Siena, Banca Popolare Emilia Romagna, Banca Popolare Etruria e Lazio, Banca Popolare Milano, Banca Popolare Sondrio, Banca Profilo, Banco di Desio e Brianza, Banco di Sardegna Risp, Banco Popolare, Cattolica Assicurazioni, Credito Artigiano, Credito Emiliano, Credito Valtellinese, Fondiaria-Sai, Generali, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Mediolanum, Milano Assicurazioni, Ubi Banca, Unicredit e Unipol), anche se in passato lo stop era stato esteso in un secondo tempo all’intero listino e su orizzonti temporali ben più lunghi. Nell’ultima circostanza in cui la Consob ha adottato un provvedimento simile – il 12 agosto dello scorso anno – il mercato aveva reagito con un estemporaneo rimbalzo, prima di riprendere la discesa interrotta solo dopo la doppia operazione Ltro della Bce che aveva scatenato il primo recupero significativo. Il divieto di short selling sui titoli finanziari era poi terminato lo scorso 24 febbraio, senza alcun effetto visibile sull’andamento del Ftse Mib, che ha continuato la tendenza positiva anche nelle settimane immediatamente seguenti. Piuttosto chiaro anche il confronto tra l’indice globale e quello settoriale, il Ftse Banks: nel periodo protetto dal divieto di short selling il Ftse Mib ha guadagnato oltre il 3,5%, mentre il paniere settoriale, cioè quello che più direttamente avrebbe dovuto beneficiare della misura, ha perso quasi l’8%. L’impressione è che l’effetto possa essere al massimo di tipo psicologico e comunque molto limitato. Emblematico in tal senso uno studio coordinato da Richard Payne, ordinario della cattedra di finanza presso la Business School inglese Cass, e condotto sui titoli finanziari quotati al London Stock Exchange: secondo questa analisi, nel periodo precedente il provvedimento i titoli finanziari hanno sottoperformato gli altri titoli, mentre durante e dopo il divieto le distanze con il resto del listino sono rimaste pressoché invariate. Non solo, lo studio ha messo anche in evidenza un possibile paradosso: il divieto di short selling può infatti determinare, come effetto collaterale, una forzata contrazione dei volumi sui titoli finanziari, facendo così aumentare il rischio di movimenti improvvisi. Ma l’ultima ondata speculativa ha quasi obbligato la Consob a un intervento drastico. (riproduzione riservata)