L’ultimo colpo messo a segno risale proprio a qualche giorno fa, quando il 12 luglio Valentino Fashion Group (Vfg, che comprende il marchio omonimo e la licenza per il marchio M Missoni) è passato per oltre 700 milioni di euro (i dettagli dell’operazione restano segreti) alla Mayhoola for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani, emiro e padrone assoluto del Paese, uno dei più ricchi e stabili dell’Opec. Ma già da tempo i fondi sovrani hanno inziato a puntare sull’Italia, soprattutto sulle società quotate. A partire dal 2005, infatti, i fondi sovrani hanno diversificato il proprio portafoglio e aumentato la quota degli investimenti azionari (preferendo i settori risorse naturali, industrie collegate a tali settori e servizi finanziari) tentando di scalare alcune importanti società in Europa e Stati Uniti. E ciò ha accresciuto i timori dei governi, che hanno così introdotto normative a difesa dei settori strategici. 

ITALIA. Secondo uno studio realizzato dalla Consob, dal titolo I fondi sovrani e la regolazione degli investimenti nel settori strategici, nel nostro Paese oltre un terzo delle società quotate è partecipato da fondi sovrani; percentuale che scende invece in un range compreso tra il 15 e il 25% circa nei maggiori Paesi europei (il 25% nel Regno Unito, il 17% in Germania e il 19% in Francia). In altre parole, questo significa che i fondi sovrani internazionali detengono partecipazioni azionarie in 102 società italiane quotate in Borsa, pari al 35,6% di quelle del listino, che pesano per il 2,2% della capitalizzazione di Piazza Affari. Secondo la Commissione presieduta da Giuseppe Vegas si tratta comunque di stime al ribasso, visto che solo undici fondi su 64 forniscono i dettagli sulle partecipazioni detenute. Nel listino milanese, la società più amata è Unicredit (vedere articolo in pagina). Ma non solo. Dal sito della Consob, risulta infatti che i libici di Lptic (Libyan post telecommunications information technology company) detengono il 14,8% del capitale di Retelit, posizionandosi come primo azionista della società di tlc. La Libyan Investment Authority possiede invece poco più del 2% di Finmeccanica, oltre ad altre partecipazioni minori in Eni e Fiat. Cosidenrando anche Unicredit, il fondo sovrano di Tripoli detiene quote azionarie per un valore totale di circa un miliardo che sono state però sequestrate lo scorso marzo dalla Guardia di Finanza su ordine dei giudici. Il decreto di sequestro era stato emanato a valle della richiesta della Corte Internazionale Penale dell’Aja di utilizzare i proventi derivanti dal sequestro per indennizzare le vittime del regime di Gheddafi. Altri fondi sovrani molto attivi nel nostro Paese sono poi quello norvegese e quello di Singapore. Insomma, negli ultimi anni – grazie all’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio (che ha consentito ai fondi sovrani di incrementare le proprie risorse) e alla svalutazione del dollaro (che li ha indotti a ridurre l’esposizione in Usa) – si è assistito a un ingresso massiccio di questi investitori nei capitali delle società quotate europee, e italiane in particolare. Bisogna però fare attenzione. Secondo la Consob, infatti, l’eventuale trasferimento del controllo di un’impresa strategica in favore di un fondo sovrano può «risultare una minaccia per la sicurezza nazionale». 

NEL MONDO. Dallo studio della Consob risulta che Abu Dhabi Investment Authority, con 625 miliardi di dollari di asset, è il più importante fondo sovrano nel mondo per patrimonio gestito, seguito dalla Norvegia, con 530 miliardi, mentre al terzo posto si colloca il cinese Safe Investment Company (347 miliardi). Nello studio è spiegato poi che le prime cinque istituzioni detengono più del 50% dell’intero patrimonio gestito dai fondi sovrani, percentuale che sale al 75% considerando le prime dieci. Riguardo al portafoglio investito, la Commissione ha aggiunto che nel 2008, nell’ambito degli investimenti azionari, il settore finanziario rappresentava il 75% del totale, per un investimento in istituzioni finanziarie occidentali tra il 2007 e il 2008 stimato in 55 miliardi di dollari. Nel 2009 vi era stata un’inversione di tendenza, con forti investimenti azionari nei settori automobilistico, infrastrutture e industria di lusso, mentre nel 2010 era poi tornato in auge il comparto finanziario, che assorbiva il 40% del totale degli investimenti azionari effettuati.