di Andrea Bassi e Antonio

Satta Il caso più eclatante è quello di Alessandro Profumo, ma ultimamente è finito nel tritacarne anche Corrado Passera. Per i banchieri l’abuso di diritto, ossia la fattispecie giuridica creata da alcune sentenze della Corte di cassazione, sembra diventata la panacea per risolvere i problemi di gettito: basta contestare alle banche, che sono i primi contribuenti dello Stato, tutte le operazioni che comportano un risparmio fiscale e alle fine, grazie alle transazioni, l’incasso è garantito. Ma banche e banchieri non ci stanno e non solo perché, oltre alla tosatura fiscale, diversi di loro devono poi affrontare i pm, per le inevitabili conseguenze penali che derivano dagli accertamenti. Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, spiega qui perché la situazione è diventata insostenibile. «La certezza del diritto è uno degli aspetti fondamentali per attrarre investitori in un Paese. Qui si va, purtroppo, nella direzione opposta. Altro che rendere l’Italia attraente per i fondi di venture capital e di private equity, cioè per quegli investitori istituzionali che tradizionalmente sono interessati a finanziare le piccole e le medie imprese». Domanda. Perché non dovrebbero essere interessati? Risposta. Un fondo intenzionato a entrare in una società, a seconda di come intende strutturare l’operazione, sceglie anche la soluzione fiscale più conveniente. Si metta però nei panni di un gestore. Sapendo che questa soluzione, proprio perché fiscalmente vantaggiosa, può essere considerata illecita dal fisco e, quel che è peggio, giudicata anche un reato penale dai magistrati, lei che farebbe? Probabilmente andrebbe a investire altrove. D. Anche la lotta all’evasione è una priorità. R. Non lo discuto. Il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, nella sua relazione all’Assemblea generale dell’associazione ha detto che evadere è il peggior tradimento che si possa fare nei confronti del Paese. Del resto se, come dice il premier, Mario Monti, siamo in guerra, l’evasore è una Quinta Colonna che attenta alla sicurezza della nazione. E noi siamo allineati al governo, come dimostra tutta la battaglia per ridurre l’uso del contante, che è uno dei canali che alimenta l’evasione. D. Con l’abuso di diritto il fisco cerca, però, di contrastare soprattutto l’elusione. R. Ma non c’era bisogno di una nuova fattispecie, visto che il contrasto a un uso distorto delle normative era già ben definito dalla legge. Qui, semmai, c’è bisogno di rivedere tutta la materia del penale tributario. Siamo l’unico Paese nel quale, superata una certa soglia del contenzioso, dal diritto civile si passa a quello penale. D. Soglie che sono state recentemente abbassate. Ora la sanzione penale per la dichiarazione infedele, per esempio, scatta a 50 mila euro. R. Ecco, appunto. Si rende conto, quindi, che per una grande azienda qualsiasi operazione comporta rischi. Non sono un giurista ma credo che un reato penale non possa prescindere dalla volontà o dal dolo. Qui, invece, si finisce per sanzionare penalmente anche una semplice dimenticanza o un errore materiale. E lasciamo stare la questione più generale della discriminazione che si crea tra aziende, in base a un parametro dimensionale. La stessa condotta viene sanzionata in un modo per una piccola azienda e in un altro per una grande corporation. D. Se è così, però, perché le banche hanno accettato di pagare? Contestando l’abuso di diritto il fisco ha incassato circa 1 miliardo dai grandi istituti. R. Distinguiamo i due piani. Su uno c’è l’azione dell’associazione, che si è battuta ovunque per riportare il quadro normativo nell’ambito della certezza del diritto, sull’altro la legittima valutazione del singolo istituto, che deve scegliere considerando anche rischi di contenziosi molto lunghi e dagli esiti difficilmente quantificabili. Se poi parliamo di gruppi quotati, bisogna anche valutare gli effetti di mercato che può comportare l’iscrizione a bilancio di accantonamenti molto elevati. Insomma, tra accantonare diversi milioni e pagare subito 100 mila euro, pur avendo tutte le ragioni del mondo, magari si preferisce pagare. Ma questo è un elemento di distorsione in più. E per a l t r o il legislatore già aveva messo in guardia da questo pericolo. D. In che senso? R. Leggo dalla relazione all’ultimo intervento legislativo del 1997, che era servito per definire meglio il contrasto all’elusione: «Questo miglioramento non assicura automaticamente la sensibilità applicativa, che è indispensabile perché la norma antielusiva non diventi un’intollerabile fonte di incertezza del diritto, ma ne pone almeno le premesse». Come vede si auspicava comunque una forte dose di saggezza. D. E perché il fisco sembra averla persa? R. Mi pare che in questa fase facciano premio altri ragionamenti, come gli obiettivi di gettito. Se l’elusione è stata veramente così ampia, perché accontentarsi d’incassare un decimo della somma elusa? Il delta tra quanto viene contestato e la cifra concordata alla fine è enorme. In un solo caso si è arrivati a chiudere la partita al 22% della richiesta iniziale, negli altri si è chiuso con molto, molto meno. Allora è legittimo il dubbio che si contestino in automatico le scelte fiscali, perché così, sparando nel mucchio, alla fine il risultato comunque si ottiene. D. Il fine giustifica i mezzi? R. No. Non è vero neanche questo. Siamo sicuramente in una situazione difficile e l’uscita dal tunnel, come dimostra l’ultimo downgrading di Moody’s, è ancora lontana, ma che senso ha forzare così la mano sulle grandi aziende, che sopportano già una pressione fiscale del 55%, quando in questo modo si fanno scappare i capitali esteri? Da una parte si vara un fondo d’investimento per attrarre capitali e dall’altra si mettono in fuga i fondi di venture capital. Schizofrenia. D. Che speranza avete che si possa invertire la tendenza? R. Sarebbe già importante che venisse approvata in fretta la delega fiscale, che risolve molte questioni. Non più tardi dell’inizio del prossimo anno. D. Intanto bisogna aspettare anche il parere del Fmi, al quale il governo ha inviato il testo. R. Veramente noi l’Fmi l’abbiamo già incontrato e sostiene che la delega è proprio ciò di cui il Paese ha bisogno per ripartire. (riproduzione riservata)