Il fondo che avrà tra il 2 e il 5% entra con un’ottica di medio-lungo termine. Ma in futuro potrebbe vendere a un operatore industriale

Non c’è dubbio: sulla base della chiusura di ieri a Piazza Affari, risulta più conveniente entrare in Fondiaria-Sai passando per l’aumento di capitale piuttosto che tramite il mercato. Con un’operazione così vantaggiosa (il prezzo delle azioni di nuova emissione è a sconto di quasi il 40% rispetto alle quotazioni di Borsa), del resto era immaginabile. Basti pensare che ieri, con i diritti Fonsai in forte rialzo del 22,09% a 1,73 euro, comprare un titolo tramite la ricapitalizzazione sarebbe costato 2,365 euro, rispetto ai 2,732 euro dei prezzi di Borsa, dove le azioni hanno chiuso in progresso dello 0,81 per cento.
Deve avere fatto questi calcoli e fiutato l’affare anche il fondo di matrice anglosassone che, nei giorni scorsi, tramite due pacchetti scambiati ai blocchi, ha rilevato da Milano Assicurazioni e Sai Holding Italia tanti diritti per arrivare, una volta completata la ricapitalizzazione da 450 milioni, a detenere una porzione tra il 2 e il 5% del capitale della compagnia assicurativa della famiglia Ligresti. Si tratta, spiegano fonti vicine all’operazione, di un investimento effettuato con un’ottica di medio-lungo termine. È vero, la società guidata da Emanuele Erbetta, che a fine marzo presentava un margine di solvibilità pari al 100,9% (meglio del 97,4% di fine 2010 ma comunque al di sotto della soglia di guardia fissata al 120%), presenta una situazione finanziaria non semplice da gestire. Ma è altrettanto vero che il piano di riorganizzazione varato con Unicredit, che tra l’altro a seguito dell’operazione entrerà direttamente nel capitale di Fonsai con una quota del 6,6%, qualche garanzia la offre. Senza contare che si è da poco insediato nella compagnia in qualità di direttore generale con un ampio ventaglio di deleghe l’ex manager di Piazza Cordusio (dove ricopriva il ruolo di responsabile del Corporate & investment banking Italia), Piergiorgio Peluso.
Quel che, tuttavia, è apparso chiaro fin dal primo momento in cui la riorganizzazione del Gruppo Ligresti targata Unicredit è stata annunciata, è che la banca guidata dall’amministratore delegato, Federico Ghizzoni, non è certo lì per restare. Quello «all’italiana» annunciato a fine marzo, infatti, agli occhi dei più è apparso come un piano B dopo che l’imposizione del lancio dell’Opa decisa dalla Consob aveva fatto sfumare l’accordo che i Ligresti avevano siglato lo scorso autunno con Groupama. Lo stesso Unicredit, poi, non ha alcun interesse a investire in un orizzonte di lungo termine in una compagnia assicurativa. Anche se si tratta della numero due (dietro alle Generali) sul mercato italiano.
Ecco perché, per Fonsai, continua a restare in piedi l’ipotesi dell’arrivo, prima o poi, di un partner industriale. In altri termini, in un’ottica di medio-lungo termine, il misterioso fondo anglosassone che è appena entrato nella compagine soci della compagnia (qualcuno ipotizza che possa trattarsi di Fidelity) potrebbe chiamarsi fuori cedendo la partecipazione a un operatore del mondo delle assicurazioni. Operatore che, tra l’altro, potrebbe anche rilevare il 6,6% in mano a Unicredit. E, senza dubbio, la compagnia che più di tutti, negli ultimi mesi, ha avuto modo di conoscere e studiare la società italiana è proprio Groupama. Fonti vicine all’operatore d’Oltralpe minimizzano sulla possibilità che a rilevare, ai blocchi o sul mercato, parte dei diritti ceduti da Milano Assicurazioni e Sai Holding Italia possa essere stato il gruppo francese. Tuttavia, l’ipotesi che in un futuro non troppo remoto Groupama, che mai ha fatto mistero nei mesi scorsi di volere contare di più sulla piazza italiana, possa rientrare in scena in un modo o nell’altro non sembra da escludere.
In parallelo all’aumento della controllante Fonsai, prosegue quello da 350 milioni di Milano Assicurazioni, le cui azioni ordinarie in Borsa continuano a muoversi all’insegna della volatilità. Ieri, i titoli ordinari della compagnia, dopo il balzo del 50% del giorno prima, hanno ceduto il 16,54%, mentre i diritti relativi all’aumento sono balzati dell’11,11 per cento