Esclusi i conti per negoziazioni in valuta, cfd e derivati

di Giuseppe Di Vittorio

Superbollo con eccezioni sul conto titoli. Al momento sembrano esclusi dall’applicazione del bollo i conti per la negoziazione in valuta, i rapporti per il trading in cfd (contract for difference) e perfino i derivati. Questo quanto emerge da un’analisi della manovra correttiva. I tecnici sentiti da ItaliaOggi concordano però che l’ultima parola spetterà all’Agenzia delle entrate nei suoi chiarimenti alle disposizioni vigenti. I rapporti indicati sarebbero esclusi dall’area imponibile per effetto dell’interpretazione letterale del testo approvato, e cioè il comma 7, lettera b) dell’art. 23 del decreto legge 98 del 6 luglio 2011, approvato ieri dalla Camera e che sarà oggi in G.U. come legge 111/2011. Già ora, poi, queste fattispecie tributarie sono escluse dal bollo tradizionale. Ma partiamo dalla norma approvata. Il nuovo superbollo colpisce in maniera progressiva i depositi titoli sopra i 50 mila euro e fino a 150 mila, con un’imposta annuale pari a 70 euro. L’onere sale a 240 euro se il valore nominale o di rimborso dei titoli è compreso fra 150 mila e 500 mila euro, sopra i 500 mila euro si passa a 680 euro. Queste le tariffe fino al 2012. Dall’anno successivo, il 2013, l’imposta diventa ancora più onerosa, 230 euro, per lo scaglione 50 e 150 mila euro, 780 per la fascia 150-500 e infine 1.100 sopra 500 mila. Nulla da temere invece per i titolari di depositi inferiori ai 50 mila euro, tutto rimane invariato rispetto al passato con un onere di 34,20 euro all’anno. La norma chiarisce che sono soggette al bollo le comunicazioni relative ai depositi di titoli inviati dagli intermediari finanziari. Bene, secondo l’interpretazione di alcuni intermediari, i conti in valuta non hanno un deposito e non esiste il titolo. Per intenderci quando si parla di conto in valute si fa riferimento ai soggetti che solo per fare un esempio comprano dollari, yen, vendono euro ecc. Non essendoci un dossier titoli, le singole posizioni dei clienti rilevano in capo agli intermediari sulla base di semplici scritture contabili elettroniche. Certamente non si tratta di numeri che sconvolgono il gettito previsto, al momento sarebbero titolari di un conto per la negoziazione in valute non più di 120 mila persone in Italia. L’aspetto più interessante però è il solito effetto «sostituzione» che può generare una norma tributaria. Al momento infatti uno su quattro degli investitori più attivi sui mercati finanziari inizia a operare direttamente sulle valute e il dato potrebbe crescere per eludere le imposte. Analogo sarebbe secondo gli intermediari finanziari il trattamento, dei cfd, contract for difference. Si tratta di contratti derivati stipulati elettronicamente fra l’intermediario e il cliente registrati su libri contabili dello stesso broker. Nella sostanza un investitore invece che comprare Fiat o Unicredit, per fare un esempio, acquista un cfd su Fiat e Unicredit, i prezzi sono analoghi tranne un leggerissima differenza che incassa il broker. Visto che tutto si svolge elettronicamente le differenze fra il cfd e l’azione sono del tutto impercettibili all’investitore, che è privato però dei diritti di voto in assemblea. Per quale motivo si compra il cfd invece che comprare il titolo? Semplice, per avere più leva, per comprare più titoli rispetto a quelli che si possono acquistare con le proprio disponibilità, per investire più comodamente su titoli quotati su paesi esteri e infine per diversificare su materie prime e metalli preziosi. I cfd sono nati in Gran Bretagna proprio come strumento per eludere l’imposta di bollo è sono stati recepiti nel nostro ordinamento con il nuovo Testo Unico sulla Finanza del 1° novembre 2007. Anche i cfd, come le valute, sono uno strumento in ascesa nei gusti degli investitori più evoluti. Fin qui forex e cfd. Dubbi ci sarebbero pure sui derivati e sulle obbligazioni bancarie. Per i primi, le obiezioni sono analoghe a quelle per il forex. Sulle seconde, le obbligazioni bancarie non quotate però su mercati regolamentati la strada sarebbe quella della materializzazione del titolo. Se si offre al cliente una ricevuta non ci sarebbe necessità del deposito e quindi il bollo non troverebbe puntuale applicazione. Tornando ai rapporti con il fisco, l’Agenzia delle entrate potrebbe propendere per un’interpretazione più restrittiva della norma in questione, dove il presupposto oggettivo dell’imposta non è tanto il deposito quanto la comunicazione che viene inviata al cliente sulle sue disponibilità finanziarie. In questo caso però il percorso potrebbe essere tutto in salita per l’amministrazione. Gli intermediari finanziari in cfd e in valute già oggi non applicano il bollo, non si capirebbe quindi come mai l’introduzione di una versione «super» vedrebbe assoggettati i loro clienti. Sul fronte degli intermediari, intanto, sarà un weekend di lavoro per l’Assosim, l’Associazione degli intermediari finanziari. L’Associazione ha istituito, infatti, un tavolo di lavoro permanente per studiare gli esatti confini di applicazione delle norma, lunedì i primi risultati.