di Gianni Gambarotta

Tempi difficili per i salotti buoni, quei luoghi incantati (amatissimi da noi cronisti finanziari perché ci fornivano spunti per tanti articoli) dove i potenti del Paese si incontravano per prendere decisioni importanti per i destini dell’economia e della grande finanza. Decisioni, sia detto per inciso, che quasi sempre comportavano costi per altri: anche, piccoli azionsti, o in ultima istanza, lo Stato, quando c’era qualche azienda-ferrovecchio da rifilare. Gli ultimi segnali che quei momenti sono passati, e l’idea stessa che il salotto non esercita più l’attrattiva di una volta sta emergendo in questi giorni dalle due vicende più importanti della cronaca finanziaria. La prima riguarda il tentativo di salvataggio del San Raffaele, agonizzante sotto un macigno di debiti da un miliardo (se ne parla nell’articolo a pag. 4). Il dossier per un intervento è stato preparato da Bruno Ermolli, uno dei più ascoltati consiglieri di Silvio Berlsuconi e chiama in campo Giuseppe Rotelli, re della sanità lombarda, anche lui alle prese con un indebitamento considerevole, ma desideroso di crescere, di contare nel suo core business e in generale nell’establishment, visto il ruolo che ha assunto nell’azionariato di Rcs MediaGroup, la casa editrice del Corriere della Sera. Assieme a Rotelli avrebbe dovuto scendere in campo una schiera di bei nomi dell’imprenditoria italiana. Il problema è che, giorno dopo giorno, tutti i membri di questa ipotetica cordata si stanno sfilando, da Berlusconi stesso, al suo amico Ennio Doris, ai Moratti, ai Riva. Insomma, l’idea di formare un salotto è considerata obsoleta e Rotelli dovrà andare avanti da solo. Se vorrà. E se altri (il

Vaticano) non prenderanno il suo posto. Un’altra vicenda di queste ore che segna il tramonto definitivo dei salotti è quella che riguarda la Fonsai (di cui si parla nell’articolo di pag. 3). L’attuale azionista di riferimento della compagnia, Salvatore Ligresti, ha penato tutta la vita per entrare nella stanza dei bottoni e, di riffa o di raffa, alla fine c’è riuscito: ha partecipazioni nelle Generali (che ora dovrà vendere), nel Corriere della Sera, in Mediobanca. Ma tutto questo non gli basta: ha dovuto aprire le porte a Unicredit, suo principale finanziatore che diventerà azionista e controllerà che la compagnia la smetta di essere un campione di perdite. In futuro, rivenderà questa partecipazione a un partner industriale, perché è di questo che la Fonsai ha bisogno. Il mercato ha già capito da tempo qual è lo sbocco inevitabile della vicenda e un compratore forte, negli ultimi due giorni, ha fatto man bassa dei diritti del prossimo aumento di capitale. Al momento opportuno verrà allo scoperto e sarà decisivo per segnare le sorti dell’ex impero di Ligresti. E per spazzare via i sogni un po’ stantii dei salotti