Presto un regolamento per poter inserire in portafoglio immobili, hedge e commodity. Carniol (Towers Watson): «Occorre una gestione razionale»

Immobili, hedge fund, fondi di private equity o materie prime. Nei prossimi anni, anche questi strumenti d’investimento «alternativi» potrebbero entrare nel portafoglio dei fondi pensione italiani, affiancando gli asset più tradizionali come le azioni e i bond. Il ministero dell’Economia sta infatti lavorando alla scrittura di un nuovo regolamento che consentirà ai gestori previdenziali di attuare una maggiore diversificazione del portafoglio. Fabio Carniol, managing consultant per l’Italia della società di consulenza Towers Watson, spiega a Borsa&Finanza quali sono i cambiamenti che si profilano all’orizzonte. Cosa accadrà di preciso? Se il nuovo regolamento in fase di preparazione verrà approvato, i gestori dei fondi pensione italiani potranno fare quello che già fanno molti loro colleghi che operano sui mercati esteri: destinare una parte del portafoglio agli investimenti alternativi, senza rimanere totalmente confinati nel settore obbligazionario o in quello azionario. Oggi queste forme d’investimento non sono già relizzabili? No, almeno per gran parte dei fondi pensione attivi in Italia, cioè quelli nati a partire dal 1993. All’estero, invece, i prodotti previdenziali si sono già mossi da tempo in questa direzione: secondo una ricerca realizzata da Towers Watson in collaborazione con il Financial Times, il patrimonio dei fondi pensione internazionali impiegato in strumenti alternativi ammonta già a più di 950 miliardi di euro e, tra il 2009 e il 2010, ha registrato una crescita di ben il 16 per cento. Quali sono i vantaggi di queste strategie? Direi che le cronache finanziarie degli ultimi tempi hanno evidenziato la necessità di diversificare il più possibile il portafoglio e di proteggerlo, almeno in parte, dai ribassi dei mercati finanziari. Oggi, purtroppo, neppure i titoli di Stato dell’area euro rappresentano più un porto sicuro per gli investitori. Hedge fund, fondi di private equity e materie prime. Non sono strumenti un po’ troppo speculativi per un fondo pensione? No, se vengono inseriti nel portafoglio in maniera equilibrata e razionale. In altre parole, chi amministra i fondi pensione e le autorità di vigilanza dovranno stabilire dei limiti ben precisi per queste forme d’investimento. Inoltre, i gestori nel loro compito dovranno avvalersi della consulenza di società specializzate, che possono aiutarli nella scelta dei prodotti e nell’attuare delle procedure adeguate di controllo del rischio. Quale percentuale, nel portafoglio dei prodotti previdenziali, può essere riservata agli investimenti alternativi? Secondo la nostra ricerca, oggi il loro peso nel patrimonio dei fondi pensione internazionali è attorno al 19 per cento. Non è un po’ troppo? Innanzitutto va fatta una premessa: oltre la metà degli asset alternativi dei fondi oggi è rappresentata da immobili, che di solito vengono acquistati dai gestori con una logica d’investimento difensiva, cioè per proteggere il portafoglio e assicurare una crescita graduale della ricchezza nel lungo periodo. Direi comunque che la risposta dipende dalla tipologia dei diversi prodotti previdenziali e dalla propensione al rischio dell’investitore. Ad esempio? Quali logiche si devono seguire? Si tratta di una questione abbastanza semplice. Chi è ormai vicino alla pensione e ha soprattutto l’obiettivo di proteggere il capitale accumulato negli anni e non ha alcun interesse ad acquistare strumenti finanziari come gli hedge fund o i fondi di private equity, che sono difficilmente liquidabili nel breve periodo. Discorso diverso per le generazioni più giovani che, avendo un obiettivo di rendimento nel lungo termine, possono permettersi di attuare delle strategie di più ampio respiro, e possono chiedere prodotti in grado di offrire una maggiore diversificazione del portafoglio.