Da tutte le parti, anche dall’interno della stessa maggioranza, si moltiplicano le richieste di riconsiderazione dell’odiosa imposta di bollo sui depositi titoli. E se ne danno le più diverse, e negative, qualificazioni: dalla vera patrimoniale al modo per mettere le mani nelle tasche degli italiani, evocando polemicamente queste abusate e ormai stantie espressioni che finora sono state impiegate da esponenti del governo per differenziare l’attuale maggioranza da quella di altri governi. Si insiste sulla dimostrazione della regressività del tributo, facendo gli esempi concreti della disparità ingiustificata degli oneri a tutto vantaggio dei grandi investitori e a danno dei piccoli risparmiatori. Che, poi, oltre ad essere odiosa questa imposta rischi di essere anche inutile e dannosa – realizzandosi così quella condizione mentale non proprio bella descritta da Carlo Maria Cipolla a proposito di chi compie un atto che danneggia gli altri ma non gli giova affatto, anzi danneggia pure se stesso – lo si può indirettamente ricavare anche da posizioni che emergono dal mondo bancario, che appaiono sensibili all’esigenza di modificare l’imposta in questione a beneficio dei piccoli depositi, pur essendo molto più preoccupate dell’innalzamento dell’Irap – che incide anche sulle perdite a carico delle banche: un incremento che si andrà ad aggiungere a una serie nutrita di altri oneri, fiscali e amministrativi, che gravano sugli istituti, con la conseguenza pure di possibili impatti sull’erogazione del credito. La ragione della minore preoccupazione, ancorché vi sia condivisione degli effetti negativi della maggiore imposta, è verosimilmente data dal fatto che già si ipotizza il modo in cui si passerà, per sottrarsi al balzello, dai conti in titoli ad altre forme di impiego e valorizzazione del risparmio. Si sarà, in tal modo, sparata dal governo una cannonata per uccidere una mosca, ma resterà l’effetto-annuncio della cannonata e seguirà il mancato conseguimento, nei prossimi anni, del gettito atteso. Si sarà perciò dato vita a una patrimoniale inerte. E l’esecutivo non potrà mai più menzionare il famoso 6 per mille del 1992 – il prelievo introdotto sui depositi bancari in un triste weekend d’autunno – per polemizzare sulle presunte scandalose decisioni del passato. Tutto milita, allora, per una revisione profonda della scombinata tassazione, anzi per la sua espunzione. Anche perché si tratta di quel tipo di provvedimenti adottati nel corso di una crisi, qual è quella europea dei debiti sovrani, che anziché dare l’immagine di solidità e rigore ai mercati, finiscono per rappresentare una situazione di «acqua alla gola» nella quale si cerca di arraffare tutto al di là della logica e dell’equità. Una situazione nella quale, per la verità, non ci troviamo, ma che così può essere intesa, con ulteriore danno, a dimostrazione di un’attitudine masochistica. Quod alteri nocet et tibi non prodest non faciendum: lo dice un antichissimo brocardo. (riproduzione riservata)