Tre anni in più alle grandi aziende alle prese con l’Ifrs 9

di Andrea Fradeani  

Contabilità, più tempo alle grandi imprese. L’obbligo di approvare il bilancio attenendosi al nuovo principio contabile Ifrs 9 slitta al 2015. Lo Iasb (Internacional accounting standard board) ha deciso ieri di rinviarne l’applicazione obbligatoria di ben tre anni. I soggetti interessati continueranno a valutare crediti, titoli, strumenti finanziari e derivati in bilancio secondo le attuali regole, più complesse ma già assimilate dalle imprese, almeno fino al 1° gennaio 2015. Alle origini di questo slittamento la diversa visione fra Paesi latini e Paesi anglosassoni sul ruolo del fair value, che consente di considerare gli strumenti finanziari a valore di mercato: i primi vorrebbero una stretta anche a causa dei recenti dissesti finanziari, per i secondi invece basterebbe una rimodulazione.

Un sospiro di sollievo, visto anche il particolare quadro macroeconomico, per il differimento di una transizione contabile, magari opportuna ma di certo complessa e frettolosa, dai delicati impatti su asset e patrimoni (in particolare di banche e altri intermediari finanziari). Le società del vecchio continente quotate nei mercati statunitensi vedono scongiurato, inoltre, il problema del doppio bilancio Ifrs: dal 2013 avrebbero dovuto presentare in America un rendiconto conforme all’Ifrs 9 mentre in Europa, visto il suo non recepimento, un bilancio Ias 39 compliance.

Il congelamento dell’Ifrs 9, la cui entrata in vigore originaria era prevista per il 1° gennaio 2013, ruota attorno a due nodi tecnici e a un aspetto politico. Lo Iasb, pressato dalle richieste del G20, aveva infatti immaginato di costruire a pezzi il successore dello Ias 39: il primo, pubblicato nel novembre 2009, sul modello di classificazione degli strumenti finanziari; il secondo, approvato nell’ottobre 2010, relativo alla loro valutazione; il terzo, peraltro non ancora ufficializzato, sull’impairment e l’hedge accounting. Uno spezzatino mal digerito dalla comunità bilancista che, ad oggi, non ha ancora le idee chiare sul nuovo e centrale standard contabile per la finanza.

Il secondo nodo tecnico riguarda le difficoltà e i costi, ben più consistenti per le imprese italiane (molte applicano gli Ifrs pure al bilancio d’esercizio), derivanti dal costante aggiornamento dei principi contabili internazionali. Lo Iasb produrrà, nel corso dei prossimi 12 mesi, documenti chiave, oltre al definitivo Ifrs 9, quali la revisione degli standard sui ricavi, il leasing e, soprattutto, le nuove regole sul settore assicurativo. Uno stillicidio per cui è sensato pretendere una medesima data: il 1° gennaio 2015 appare una soluzione compatibile con la loro completa e corretta assimilazione.

La questione più importante è però, indubbiamente, quella politica. Ci riferiamo allo scontro sul merito dell’Ifrs 9, in particolare sulla portata del fair value, fra la componente anglosassone e quella latina: quest’ultimo, da alcuni considerato complice della crisi finanziaria del 2008, viene semplicemente rimodulato, rispetto allo Ias 39, in funzione del modello di business e delle caratteristiche dello strumento finanziario rappresentato. Una soluzione avversata dall’Unione europea che, seppure a maggioranza, ha bloccato il recepimento del nuovo principio nello spazio giuridico comunitario: una chiara forma di pressione per indurre lo standard setter londinese a mitigare le sue scelte. Sulla strada dell’Ifrs 9 si è poi messo di traverso, è forse questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso, il Fasb: lo standard setter americano, in un momento in cui sembra persino vacillare la volontà di convergenza verso il modello Ifrs, ha differito a fine anno ogni decisione sull’omologo progetto dedicato alla classificazione e valutazione degli strumenti finanziari.

Rimane ora da capire se il congelamento dell’Ifrs 9, che verrà ufficializzato a breve attraverso un Exposure Draft, si risolverà in un semplice differimento oppure indurrà lo Iasb a un suo (parziale) ripensamento.