?Ormai è certo: si andrà in pensione più tardi. E l’assegno pubblico sarà pari al 60% dell’ultimo stipendio per i dipendenti e al 40% per gli autonomi (ancor meno per le donne). Per questo è cruciale l’integrazione della rendita. Tutti i segreti per avere mille euro in più al mese 

di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La riapertura del cantiere pensioni non deve illudere i lavoratori. Dovranno ritardare il momento dell’addio al lavoro e ricorrere alla previdenza complementare perché l’assegno pubblico sarà comunque magro. La riforma appena varata dal governo allunga un po’ la vita lavorativa degli uomini, fino a un massimo di circa un anno, e colpisce soprattutto le donne del settore privato.

 

Le lavoratrici che hanno meno di 50 anni dovranno infatti stare al lavoro anche sei anni in più, perché dal 2020 ci sarà un progressivo aumento dell’età per la pensione di vecchiaia, dai 60 ai 65 anni (si veda box in pagina). «Sebbene la proposta di riforma Tremonti in alcuni casi potrebbe portare benefici grazie al differimento del momento della pensione, quindi una maggior pensione pubblica e maggior orizzonte temporale per la previdenza complementare, il tema dell’integrazione pensionistica resta immutato nella sua sostanza», dice Andrea Carbone di Progetica, che ha elaborato per MF-Milano Finanza le nuove simulazioni su come integrare il futuro assegno Inps alla luce della nuova riforma targata Tremonti. Aggiunge Carbone: «La bozza di riforma ha modificato alcuni elementi relativi al momento del pensionamento, ma lascia aperte riflessioni sulle nuove responsabilità individuali in tema di welfare». In particolare, la bozza di testo varata dal Consiglio dei ministri anticipa l’entrata in vigore del sistema di allineamento tra i requisiti di età per l’accesso al pensionamento e l’allungamento della speranza di vita.

Il primo aumento di (al massimo) tre mesi scatterà già da gennaio 2014. Verrà poi introdotto un secondo aumento, dal gennaio 2016, relativo all’incremento della speranza di vita registrato nel biennio precedente. Sarà infine confermato l’adeguamento triennale dei requisiti a partire da gennaio 2019. Non c’è quindi da perdere tempo: occorre integrare l’assegno previdenziale futuro. «In sintesi, questa parte di riforma anticiperebbe di un anno il primo adeguamento, e ne introdurrebbe un secondo, stimabile in quattro mesi, nel 2016. Naturalmente non per tutti i lavoratori l’incremento sarebbe di quattro mesi: in funzione del proprio profilo (età e anni di contribuzione), la variazione stimata tramite l’Istat potrà essere compresa tra zero e dieci mesi», sottolinea Carbone.

Finora i fondi pensione hanno fatto fatica a conquistare i lavoratori italiani, soprattutto le nuove generazioni. Eppure prima si inizia a versare e meglio è. Come dimostra l’analisi effettuata da Progetica. Un dipendente trentenne per avere mille euro di pensione integrativa in più, da aggiungersi al 62% dell’ultimo stipendio che gli verserà l’Inps, deve versare al mese 533 euro nella linea garantita e 328 nella bilanciata, mentre per un quarantenne questi importi salgono a 806 euro per la garantita e 570 per la bilanciata. Per gli autonomi il gap è più ampio perché versano meno contributi. Un trentenne lavoratore autonomo potrà aspettarsi, in uno scenario medio, il 38% dell’ultimo stipendio, ossia 1.049 euro contro i 3 mila dell’ultima busta paga. Per raddoppiare la pensione ed arrivare a 2 mila euro deve versare mensilmente nella linea bilanciata 300 euro, nella garantita 495 euro. Mentre una lavoratrice autonoma sempre trentenne per avere mille euro di integrazione deve versare ancora di più: rispettivamente 380 euro nella bilanciata e 617 nella garantita. È la conseguenza del fatto che le donne hanno una speranza di vita maggiore. (riproduzione riservata)