MARCO PANARA

Kenneth Courtis è un banchiere ed economista molto influente, consulente di governi, banche centrali e multinazionali, già vice presidente di Goldman Sachs Asia e ora fondatore e partner di Themes Investment. Nella serata di venerdì ha invitato ai suoi interlocutori in tutto il mondo una breve nota su quello che sta succedendo in Europa. Vale la pena di riportarla perché rappresenta efficacemente la situazione. prima “Italia. Oggi (venerdì 8, ndr) i tassi sui titoli a 10 anni hanno toccato i massimi da circa un decennio a questa parte. Le azioni bancarie sono in caduta libera, tre delle maggiori banche erano giù del 7% prima che scattasse la sospensione sui loro titoli. E poi si aggiunge la notizia che uno scandalo appena esploso arriva molto vicino al ministro dell’Economia… Spagna. I tassi sui titoli decennali hanno raggiunto il 5,67%. Sopra il 5,7% in nessun modo il governo di Madrid può raggiungere i suoi obiettivi di bilancio, anche assumendo che le banche regionali abbiano bisogno di rifinanziamenti per solo 20 miliardi di euro. Gran parte di coloro che hanno guardato a fondo i loro conti ritengono che in realtà il rifinanziamento necessario sia un po’ superiore a 100 miliardi di euro… Irlanda. Rivedendo le comunicazioni rilasciate oggi (sempre venerdì 8 luglio, ndr) dalla Banca d’Irlanda sul flusso di fondi, sembrerebbe che la banca centrale di Dublino debba fornire questa settimana qualcosa come 56 miliardi di euro di liquidità alle banche del paese… Bce. A Bruxelles e a Francoforte sono stati così scossi dal downgrade del debito portoghese, che la Bce ha annunciato che continuerà ad accettare titoli pubblici come collaterale ‘privo di rischio’ finché almeno una agenzia attribuirà loro un rating superiore a quello di junk (titoli spazzatura, ndr)… In conclusione, i mercati sono effettivamente chiusi per Grecia, Irlanda e Portogallo, e molto problematici rispetto a Italia, Spagna e Belgio… Quello che trovo sorprendente — conclude Courtis — è la sottovalutazione (complacency) che accompagna tutto ciò, che invece potrebbe determinare una situazione drammatica tanto quanto quella che abbiamo vissuto nel 2008/2009”. A queste poche efficaci pennellate è il caso di aggiungere qualcos’altro. Per quanto riguarda l’Italia in più ci sono almeno due cose: la prima è la fragilità economica della manovra che dovrebbe rassicurare i mercati ma che per quanto riguarda i tempi nei primi due anni raccoglie briciole e rinvia la sostanza al 2013, e per quanto riguarda i contenuti è fatta per oltre due terzi di aumento del prelievo (con effetti negativi sulla crescita dell’economia) e solo di un terzo scarso di tagli alla spesa. La seconda è la fragilità politica di quella stessa manovra, la cui approvazione è affidata a una maggioranza che ha problemi di consenso ed è preoccupata assai più della sua sopravvivenza che dei conti pubblici, e la cui implementazione toccherebbe ad un governo che è ben oltre l’orlo di una crisi di nervi. Accade così che l’Italia, che al contrario di Spagna e Irlanda non deve mettere soldi per salvare le sue banche, dissipa questo suo vantaggio e viene attaccata dalle locuste, mentre le sue banche proprio nel giorno in cui la Bce aumenta i tassi di interesse che per loro è una gran bella notizia crollano in Borsa. Ma l’Italia è molto tempo che ha imparato a far male a se stessa. La novità è che Eurolandia sta imparando rapidamente anch’essa ed è oggetto di una speculazione che sta usando tutte le armi più raffinate per metterla alle corde. Sulla pessima gestione della crisi greca che da un anno e mezzo a questa parte tiene l’euro e le economie dell’area sulla graticola sono stati spesi fiumi di inchiostro e non c’è molto da aggiungere. L’attacco in corso invece qualche attenzione la merita. La prima cosa che balza agli occhi è che i conti pubblici degli Stati Uniti e del Regno Unito (nonché del Giappone) sono in condizioni peggiori di quelli di Eurolandia, ma non c’è traccia da quelle parti della virulenza con la quale i mercati si sono scatenati contro la giovane Europa della moneta unica. E’ una facile via d’uscita dire “gli altri stanno peggio” e non è una soluzione chiedersi perché la speculazione non guardi da quella parte. Eurolandia ha i suoi problemi, e non ci sono diversivi che possano consentirle di non risolverli. Ma c’è un elemento che inquieta, ed è l’impressione che siamo parte di un sistema che fa di tutto per rendere non praticabili tutte le ipotesi di soluzione, anche quelle di buon senso, che si sta cercando di mettere in piedi. Le parole chiave di questo gioco infernale sono “default” e “credit event”. Si ha il default quando un emittente non rimborsa il titolo nella scadenza o per l’ammontare indicato all’emissione. Il concetto di “credit event” è un po’ più vago, ovviamente il default è un credit event, ma possono esserlo anche altre cose che in qualche modo incidono sulla vita di quel credito. Ebbene ambedue, sia il default che il credit event sono una sorta di grilletto che quando scatta tra i tanti effetti ha anche quello, in questa fase determinante, di rendere esecutivi i “credit default swaps” (cds), ovvero quei contratti con i quali ci si assicura contro il fallimento del proprio debitore. Essendo contratti finanziari e non assicurativi, si possono acquistare anche non avendo alcun credito da incassare. Ed essendo trattati fuori dai mercati ufficiali non si sa quanti ce ne siano in giro, da chi siano stati emessi e nelle mani di chi siano finiti. E’ un fantasma che si intuisce gigantesco, che nel caso di default o di credit event relativo al debitore può fare le fortune di chi li ha comprati e distruggere i bilanci di chi li ha emessi. In Europa si inseguono voci di tutti i generi, e tra le tante quella che molte banche tedesche avrebbero emesso cds per miliardi, acquistati da hedge fund e banche di investimento. Tutti quelli che li hanno comprati fanno il tifo per il fallimento delle Grecia, e a catena di quanti più altri possibile, mentre per chi li ha emessi questa sarebbe una tragedia. Ma veniamo al dunque. Per la Grecia si stanno studiando forme di intervento volontario delle banche, che rinnoverebbero almeno in parte e a nuove condizioni il loro credito. Non ci sarebbe in questo caso un default tecnico, né formalmente un credit event. I titoli emessi sarebbero rimborsati alla scadenza e quelli nuovi prevederebbero nuovi condizioni. Ebbene, le agenzie di rating hanno già lasciato intendere che considererebbero questo un credi event, facendo così scattare l’esigibilità dei cds e creando un effetto domino sui mercati. Il punto centrale della partita che Bruxelles e Francoforte stanno giocando è tutto lì, e quelle parole chiave nelle quali sta il futuro prossimo dell’Europa e dei suoi cittadini non sono nella disponibilità delle istituzioni ma innanzitutto delle agenzie di rating, e poi di coloro che fissano i criteri contabili (fondamentali perché determinano il modo in cui le banche iscrivono i titoli nei loro bilanci). Peccato che quelle stesse agenzie di rating, oggi così severe nel giudicare stati e banche, nulla ci dicano su chi ha emessi i cds e chi li ha in portafoglio, ovvero dove stanno i rischi di domani. D’altra parte nulla ci avevano detto ieri sui rischi della Grecia, dell’Irlanda del Portogallo, né dei subprime e della Lehman.