Per chi non ne fa solo un problema di nomenclatura l’ultima decisione della Suprema corte su tabelle milanesi e danno esistenziale suona come un’inversione di rotta rispetto a quanto sancito dalla stessa Cassazione con la sentenza n. 26972 del 2008, secondo cui il danno esistenziale non esiste come autonoma categoria di danno, ma rientra in quello non patrimoniale. Quindi, il danno alla vita di relazione andrà risarcito solo se lede interessi costituzionalmente garantiti. Ciò perché, avevano affermato in quell’occasione i giudici, «il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate». In particolare, non può farsi riferimento a una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale. Ora si tratterà di stabilire un equilibrio fra chi vede nel danno esistenziale il modo per ottenere tutti i risarcimenti, anche futili (ebbe gli onori della cronaca il risarcimento a una sposa per la rottura del tacco) e quelli che invece ci vedono una chance per il ristoro per aspetti gravemente compromessi.